La Perfetta Letizia ha intervistato l'On. Ermete Realacci sul ritorno in Italia delle centrali nucleari. Il tema è di grande attualità e molto dibattuto, ma ormai la strada del nucleare sembra essere definitivamente riaperta...
E’ recente la notizia che il Senato ha approvato definitivamente il ritorno al nucleare in Italia. E proprio nel panorama politico italiano il tema della salvaguardia dell’ambiente è sempre di grande attualità. La scelta di questo governo di riaprire la strada del nucleare in Italia è il fulcro di tante polemiche già in atto - e di altre future - nel momento della scelta dei siti. Entro 6 mesi infatti verrà stilata la mappa dei siti nucleari che sorgeranno nel nostro paese, nonché quella dei siti di stoccaggio del combustibile e di deposito dei rifiuti radioattivi. Gli esperti dicono che le scorie a bassa e media intensità rimarranno “attive” per circa 300 anni, mentre quella ad alta intensità per 250000 anni. Sono passati più di vent’anni dal referendum che abrogò in Italia l’esistenza di centrali nucleari, era l’8 novembre del 1987. I sondaggi dicono che gli italiani di oggi sono molto più propensi alla costruzioni delle centrali di quanto non lo fossero vent’anni fa. Conoscendo però la storia recente dell’Italia e la reticenza dei cittadini a vivere vicino a potenziali fonti d’inquinamento, è probabile che l’opposizione da parte della cittadinanza sarà decisa. Anche le stesse regioni candidate potrebbero opporre resistenza alle istallazioni.
Rivolgiamo su questo tema alcune domande all’On. Ermete Realacci, Presidente onorario di Legambiente ed attualmente deputato del PD, chiedendogli un parere sulla scelta di politica energetica ‘nucleare’ operata da questo governo.
D. - On. Realacci il Partito Democratico esprime attraverso le parole del capogruppo al Senato, On. Anna Finocchiaro, un chiaro e netto “no” da parte del suo schieramento al ricorso all’energia nucleare in Italia. L’On. Finocchiaro definisce la svolta «Una scelta sbagliata e antieconomica». In molti, tra ricercatori ed ecologisti, stimano spese altissime di costruzione e gestione degli impianti. Quali sono secondo lei i motivi per cui la scelta sarebbe ‘antieconomica’ ?
R. - L’energia nucleare viene presentata dai suoi promotori come una fonte di energia che ha risolto i problemi di sicurezza, pulita, illimitata e di basso prezzo. Non è così. Aggiungo, purtroppo. Anche tralasciando i problemi di sicurezza e la questione aperta dello smaltimento delle scorie, il nucleare ha segnato il passo in questi anni nei paesi occidentali proprio per i suoi costi elevati. E’ per questo motivo che negli Stati Uniti, dove la produzione dell’energia elettrica è tutta in mano ad operatori privati, gli ordini di nuove centrali nucleari sono cessati dal 1978, da prima dell’incidente di Chernobyl. E la Germania, che pure si è data obiettivi molto ambiziosi di riduzione delle emissioni di CO2, - meno 40% entro il 2020 – ha confermato che per quella data chiuderà le sue centrali nucleari. La situazione può cambiare di molto se diverrà concreta la possibilità del nucleare di quarta generazione. Un nucleare che, come dice Carlo Rubbia, affronta alla radice molti problemi legati alla sicurezza e alla gestione delle scorie. E riduce di molto i costi. Per questo ritengo che l’Italia debba essere presente in maniera significativa nella ricerca che va in questa direzione.
D. - Il pericolo di un incidente del nucleare coinvolgerebbe il nostro paese anche se ciò si verificasse in Francia o in Svizzera. Alcune impianti si trovano non molto lontani dai confini del nostro paese, è il caso di sei centrali nucleari francesi costruite a ridosso delle Alpi. Le pongo una domanda che solitamente rientra nei cosiddetti ‘luoghi comuni’; per quale motivo non dovremmo costruire in Italia centrali nucleari quando invece siamo circondati da quelle presenti in altri paesi confinanti con l’Italia?
R. - Come dicevo prima quello della sicurezza è solo uno degli aspetti per cui il ritorno al nucleare non conviene all’Italia L’acceso dibattito che si è aperto nel paese sul nucleare rischia di produrre l’effetto di una cortina fumogena e distrarre l’attenzione rispetto alle scelte che in ogni settore l’Italia è chiamata a compiere per affrontare la sfida dei mutamenti climatici, ridurre il ricorso ai combustibili fossili, mettersi al riparo dai rischi di approvvigionamento e di aumento dei costi legati al prezzo del petrolio. Un po’ come nella storiella dell’ubriaco che cerca le chiavi sotto il lampione non perché le abbia perse lì, ma perché lì ce la luce. Senza il sostegno pubblico, infatti, l’attuale nucleare non è competitivo nei paesi occidentali. E come se non bastasse a fronte di enormi investimenti pubblici, l’Italia non vedrà un solo Kilowatt di energia elettrica prodotta con il nucleare prima di quindici anni. A maggior ragione in un momento di crisi è meglio puntare su misure che danno risultati a breve termine, sostengono e rendono più competitiva l’economia e l’aumento occupazionale. Per il nostro paese questo vuol dire puntare sul risparmio energetico, sulle fonti rinnovabili, sul recupero energetico del patrimonio edilizio esistente, sul ricambio dei beni durevoli orientato su base ambientale.
D. - Durante la votazione al Senato è mancato per quattro volte il numero legale dei votanti tra le file della maggioranza. Segno questo che nei senatori del Polo delle Libertà non vi è un pieno accordo su questa scelta. Nonostante il provvedimento sia stato approvato, il PD è riuscito ad inserire qualche emendamento “migliorativo”, tradotto in benefici compensativi, a favore degli abitanti delle future zone nuclearizzate. Lei pensa che ciò basterà a placare probabili proteste da parte dei cittadini?
R. - Non credo che sia questa la leva da opporre alle tante buone ragioni che ci sono per non volere il nucleare nucleare. Comunque quella dell’opposizione delle comunità locali sarà sicuramente un problema che chi vuole il nucleare si troverà ad affrontare. E penso che è un problema che la maggioranza ha ben presente se se si considera in campagna elettorale che in ogni regione in cui Berlusconi, o qualcuno della sua maggioranza, si trova ad andare assicura che lì non si farà una centrale....
Non sarà con la forza che Berlusconi farà digerire agli italiani una scelta costosa e sbagliata. Oltre all’errore del perseguire con la scelta nucleare è inaccettabile l’idea del Governo di scorciatoie che passino per la militarizzazione delle aree, tagliando di fatto e in barba a ogni idea di federalismo, la necessaria via della concertazione con i territori e con le regioni che non fossero disponibili ad ospitare gli impianti nucleari e i siti di stoccaggio. E’ un approccio insopportabile e lontano da quanto si fa in qualunque paese occidentale e rischia di condurci in un vicolo cieco.
Parliamo adesso di energie alternative.
L’Italia, rispetto ad altri paesi europei, non è certamente in prima fila in tema di politiche ambientali. Chi visita paesi come la Germania resta colpito dalla quantità di impianti fotovoltaici presenti su ogni edificio, a cominciare da quelli degli enti pubblici. Nonostante il territorio tedesco sia meno soleggiato dell’Italia, la Germania si è affermata nel mondo dei pannelli fotovoltaici, avendo saputo creare a monte una vera e propria industria. La legge tedesca sulle fonti rinnovabili nasce nel 1991 e ha sostenuto lo sviluppo del nuovo mercato soprattutto mediante il riconoscimento di tariffe incentivanti ai produttori di energia da tali fonti. Grazie a questa lungimiranza politica oggi la Germania è il paese leader mondiale nell'esportazione delle tecnologie ad energia rinnovabile.
In Italia è possibile installare un impianto fotovoltaico usufruendo di incentivi pubblici denominati ‘in conto energia’, opzione tra l’altro poco pubblicizzata. Sembra però che questi incentivi non siano un buon motivo per spingere la maggior parte degli italiani ad istallare i pannelli fotovoltaici.
Appare evidente la differenza di approccio tra tedeschi e italiani in tema di politica energetica. Nel confronto emerge chiaramente la diversa sensibilità manifestata tra i cittadini dei due stati nella volontà di istallare impianti fotovoltaici in ogni singola abitazione.
D. - On. Realacci, la scarsa sensibilità degli italiani è da attribuire alla mancata informazione e a politiche poco convincenti dei governi che si sono succeduti in questi ultimi anni?
R. - Sicuramente in Italia abbiamo ancora molto terreno da recuperare. Abbiamo un decimo dell’energia eolica della Germania, molti meno pannelli solari termici della piccola Austria. Soprattutto c’è un enorme campo aperto che riguarda l’efficienza energetica e il risparmio. A parità di prestazione in molti settori, dalle lampadine agli elettrodomestici, esistono prodotti che consumano anche un quarto dell’energia. Sono settori in cui le nostre imprese sono leader in Europa. Innovazione, ricerca e ricorso a quella grande energia rinnovabile e non inquinante che è l’intelligenza umana. Queste sono le risorse da mettere in campo.
D. - Negli ultimi anni si stanno diffondendo, in alcuni comuni italiani, nuovi stili di vita, sostenuti da amministrazioni “virtuose” con la compartecipazione dei cittadini e improntati sull'idea che si può vivere meglio adottando semplici misure dettate dal buon senso. Giusto per citarne alcuni, vi sono comuni (Capannori-(LU), Ponte delle Alpi(BL)) dove la raccolta differenziata raggiunge l'80% e produce occupazione; in alcuni comuni (Torraca-SA) l'introduzione dell'illuminazione con il LED ha consentito di ridurre gli sprechi di energia elettrica del 80%; a Padova, gli interventi di riqualificazione energetica consentono di ottenere un taglio nei consumi pari ad un risparmio di 600000 euro l'anno; per non parlare dei comuni, tanti, dove si sperimentano progetti per la riduzione nella produzione dei rifiuti e si investe in progetti educativi di sensibilizzazione e riduzione dei consumi. A sostegno di questi progetti, sono nate associazioni quali l'Associazione dei Comuni Virtuosi per coordinare questa rete di comuni a cinque stelle. Secondo lei, come si possono valorizzare queste esperienze a livello nazionale ?
R. - Ci sono molte amministrazioni locali, sopratutto quelle dei piccoli comuni, che rappresentano casi virtuosi per il paese. Sono piccoli comuni, ad esempio, la metà delle municipalità italiane che producono energia pulita. Tra le fonti rinnovabili la più diffusa nel Paese è quella solare. Anche in questo caso la metà dei comuni che la utilizzano sono piccoli. Seppur troppo poco diffuso, grazie al solo fotovoltaico ogni anno in Italia si risparmiano circa 98 mila tonnellate di CO2. Presente in soli 157 comuni - il 74,5% dei quali sono piccoli - l’eolico risponde al fabbisogno energetico di 2.225.000 famiglie. Anche in fatto di raccolta differenziata e riciclo, infine, i Piccoli Comuni sono la punta di diamante dell’intero Paese. Infatti, mentre la media nazionale di raccolta differenziata si attesta al 26%, nei Piccoli Comuni sale al 59%. Il 51% dei Piccoli Comuni, inoltre, promuove il compostaggio domestico per ridurre la quantità di rifiuti organici prodotti dai cittadini. Con Legambiente stiamo lavorando molto e con varie campagne per promuovere queste realtà.
Ringraziamo l'On. Ermete Realacci per le sue risposte che certamente sono servite a fare un po di chiarezza in merito al futuro energetico dell'Italia, non del tutto "verde", a cui andremo incontro nei prossimi anni.
E’ recente la notizia che il Senato ha approvato definitivamente il ritorno al nucleare in Italia. E proprio nel panorama politico italiano il tema della salvaguardia dell’ambiente è sempre di grande attualità. La scelta di questo governo di riaprire la strada del nucleare in Italia è il fulcro di tante polemiche già in atto - e di altre future - nel momento della scelta dei siti. Entro 6 mesi infatti verrà stilata la mappa dei siti nucleari che sorgeranno nel nostro paese, nonché quella dei siti di stoccaggio del combustibile e di deposito dei rifiuti radioattivi. Gli esperti dicono che le scorie a bassa e media intensità rimarranno “attive” per circa 300 anni, mentre quella ad alta intensità per 250000 anni. Sono passati più di vent’anni dal referendum che abrogò in Italia l’esistenza di centrali nucleari, era l’8 novembre del 1987. I sondaggi dicono che gli italiani di oggi sono molto più propensi alla costruzioni delle centrali di quanto non lo fossero vent’anni fa. Conoscendo però la storia recente dell’Italia e la reticenza dei cittadini a vivere vicino a potenziali fonti d’inquinamento, è probabile che l’opposizione da parte della cittadinanza sarà decisa. Anche le stesse regioni candidate potrebbero opporre resistenza alle istallazioni.
Rivolgiamo su questo tema alcune domande all’On. Ermete Realacci, Presidente onorario di Legambiente ed attualmente deputato del PD, chiedendogli un parere sulla scelta di politica energetica ‘nucleare’ operata da questo governo.
D. - On. Realacci il Partito Democratico esprime attraverso le parole del capogruppo al Senato, On. Anna Finocchiaro, un chiaro e netto “no” da parte del suo schieramento al ricorso all’energia nucleare in Italia. L’On. Finocchiaro definisce la svolta «Una scelta sbagliata e antieconomica». In molti, tra ricercatori ed ecologisti, stimano spese altissime di costruzione e gestione degli impianti. Quali sono secondo lei i motivi per cui la scelta sarebbe ‘antieconomica’ ?
R. - L’energia nucleare viene presentata dai suoi promotori come una fonte di energia che ha risolto i problemi di sicurezza, pulita, illimitata e di basso prezzo. Non è così. Aggiungo, purtroppo. Anche tralasciando i problemi di sicurezza e la questione aperta dello smaltimento delle scorie, il nucleare ha segnato il passo in questi anni nei paesi occidentali proprio per i suoi costi elevati. E’ per questo motivo che negli Stati Uniti, dove la produzione dell’energia elettrica è tutta in mano ad operatori privati, gli ordini di nuove centrali nucleari sono cessati dal 1978, da prima dell’incidente di Chernobyl. E la Germania, che pure si è data obiettivi molto ambiziosi di riduzione delle emissioni di CO2, - meno 40% entro il 2020 – ha confermato che per quella data chiuderà le sue centrali nucleari. La situazione può cambiare di molto se diverrà concreta la possibilità del nucleare di quarta generazione. Un nucleare che, come dice Carlo Rubbia, affronta alla radice molti problemi legati alla sicurezza e alla gestione delle scorie. E riduce di molto i costi. Per questo ritengo che l’Italia debba essere presente in maniera significativa nella ricerca che va in questa direzione.
D. - Il pericolo di un incidente del nucleare coinvolgerebbe il nostro paese anche se ciò si verificasse in Francia o in Svizzera. Alcune impianti si trovano non molto lontani dai confini del nostro paese, è il caso di sei centrali nucleari francesi costruite a ridosso delle Alpi. Le pongo una domanda che solitamente rientra nei cosiddetti ‘luoghi comuni’; per quale motivo non dovremmo costruire in Italia centrali nucleari quando invece siamo circondati da quelle presenti in altri paesi confinanti con l’Italia?
R. - Come dicevo prima quello della sicurezza è solo uno degli aspetti per cui il ritorno al nucleare non conviene all’Italia L’acceso dibattito che si è aperto nel paese sul nucleare rischia di produrre l’effetto di una cortina fumogena e distrarre l’attenzione rispetto alle scelte che in ogni settore l’Italia è chiamata a compiere per affrontare la sfida dei mutamenti climatici, ridurre il ricorso ai combustibili fossili, mettersi al riparo dai rischi di approvvigionamento e di aumento dei costi legati al prezzo del petrolio. Un po’ come nella storiella dell’ubriaco che cerca le chiavi sotto il lampione non perché le abbia perse lì, ma perché lì ce la luce. Senza il sostegno pubblico, infatti, l’attuale nucleare non è competitivo nei paesi occidentali. E come se non bastasse a fronte di enormi investimenti pubblici, l’Italia non vedrà un solo Kilowatt di energia elettrica prodotta con il nucleare prima di quindici anni. A maggior ragione in un momento di crisi è meglio puntare su misure che danno risultati a breve termine, sostengono e rendono più competitiva l’economia e l’aumento occupazionale. Per il nostro paese questo vuol dire puntare sul risparmio energetico, sulle fonti rinnovabili, sul recupero energetico del patrimonio edilizio esistente, sul ricambio dei beni durevoli orientato su base ambientale.
D. - Durante la votazione al Senato è mancato per quattro volte il numero legale dei votanti tra le file della maggioranza. Segno questo che nei senatori del Polo delle Libertà non vi è un pieno accordo su questa scelta. Nonostante il provvedimento sia stato approvato, il PD è riuscito ad inserire qualche emendamento “migliorativo”, tradotto in benefici compensativi, a favore degli abitanti delle future zone nuclearizzate. Lei pensa che ciò basterà a placare probabili proteste da parte dei cittadini?
R. - Non credo che sia questa la leva da opporre alle tante buone ragioni che ci sono per non volere il nucleare nucleare. Comunque quella dell’opposizione delle comunità locali sarà sicuramente un problema che chi vuole il nucleare si troverà ad affrontare. E penso che è un problema che la maggioranza ha ben presente se se si considera in campagna elettorale che in ogni regione in cui Berlusconi, o qualcuno della sua maggioranza, si trova ad andare assicura che lì non si farà una centrale....
Non sarà con la forza che Berlusconi farà digerire agli italiani una scelta costosa e sbagliata. Oltre all’errore del perseguire con la scelta nucleare è inaccettabile l’idea del Governo di scorciatoie che passino per la militarizzazione delle aree, tagliando di fatto e in barba a ogni idea di federalismo, la necessaria via della concertazione con i territori e con le regioni che non fossero disponibili ad ospitare gli impianti nucleari e i siti di stoccaggio. E’ un approccio insopportabile e lontano da quanto si fa in qualunque paese occidentale e rischia di condurci in un vicolo cieco.
Parliamo adesso di energie alternative.
L’Italia, rispetto ad altri paesi europei, non è certamente in prima fila in tema di politiche ambientali. Chi visita paesi come la Germania resta colpito dalla quantità di impianti fotovoltaici presenti su ogni edificio, a cominciare da quelli degli enti pubblici. Nonostante il territorio tedesco sia meno soleggiato dell’Italia, la Germania si è affermata nel mondo dei pannelli fotovoltaici, avendo saputo creare a monte una vera e propria industria. La legge tedesca sulle fonti rinnovabili nasce nel 1991 e ha sostenuto lo sviluppo del nuovo mercato soprattutto mediante il riconoscimento di tariffe incentivanti ai produttori di energia da tali fonti. Grazie a questa lungimiranza politica oggi la Germania è il paese leader mondiale nell'esportazione delle tecnologie ad energia rinnovabile.
In Italia è possibile installare un impianto fotovoltaico usufruendo di incentivi pubblici denominati ‘in conto energia’, opzione tra l’altro poco pubblicizzata. Sembra però che questi incentivi non siano un buon motivo per spingere la maggior parte degli italiani ad istallare i pannelli fotovoltaici.
Appare evidente la differenza di approccio tra tedeschi e italiani in tema di politica energetica. Nel confronto emerge chiaramente la diversa sensibilità manifestata tra i cittadini dei due stati nella volontà di istallare impianti fotovoltaici in ogni singola abitazione.
D. - On. Realacci, la scarsa sensibilità degli italiani è da attribuire alla mancata informazione e a politiche poco convincenti dei governi che si sono succeduti in questi ultimi anni?
R. - Sicuramente in Italia abbiamo ancora molto terreno da recuperare. Abbiamo un decimo dell’energia eolica della Germania, molti meno pannelli solari termici della piccola Austria. Soprattutto c’è un enorme campo aperto che riguarda l’efficienza energetica e il risparmio. A parità di prestazione in molti settori, dalle lampadine agli elettrodomestici, esistono prodotti che consumano anche un quarto dell’energia. Sono settori in cui le nostre imprese sono leader in Europa. Innovazione, ricerca e ricorso a quella grande energia rinnovabile e non inquinante che è l’intelligenza umana. Queste sono le risorse da mettere in campo.
D. - Negli ultimi anni si stanno diffondendo, in alcuni comuni italiani, nuovi stili di vita, sostenuti da amministrazioni “virtuose” con la compartecipazione dei cittadini e improntati sull'idea che si può vivere meglio adottando semplici misure dettate dal buon senso. Giusto per citarne alcuni, vi sono comuni (Capannori-(LU), Ponte delle Alpi(BL)) dove la raccolta differenziata raggiunge l'80% e produce occupazione; in alcuni comuni (Torraca-SA) l'introduzione dell'illuminazione con il LED ha consentito di ridurre gli sprechi di energia elettrica del 80%; a Padova, gli interventi di riqualificazione energetica consentono di ottenere un taglio nei consumi pari ad un risparmio di 600000 euro l'anno; per non parlare dei comuni, tanti, dove si sperimentano progetti per la riduzione nella produzione dei rifiuti e si investe in progetti educativi di sensibilizzazione e riduzione dei consumi. A sostegno di questi progetti, sono nate associazioni quali l'Associazione dei Comuni Virtuosi per coordinare questa rete di comuni a cinque stelle. Secondo lei, come si possono valorizzare queste esperienze a livello nazionale ?
R. - Ci sono molte amministrazioni locali, sopratutto quelle dei piccoli comuni, che rappresentano casi virtuosi per il paese. Sono piccoli comuni, ad esempio, la metà delle municipalità italiane che producono energia pulita. Tra le fonti rinnovabili la più diffusa nel Paese è quella solare. Anche in questo caso la metà dei comuni che la utilizzano sono piccoli. Seppur troppo poco diffuso, grazie al solo fotovoltaico ogni anno in Italia si risparmiano circa 98 mila tonnellate di CO2. Presente in soli 157 comuni - il 74,5% dei quali sono piccoli - l’eolico risponde al fabbisogno energetico di 2.225.000 famiglie. Anche in fatto di raccolta differenziata e riciclo, infine, i Piccoli Comuni sono la punta di diamante dell’intero Paese. Infatti, mentre la media nazionale di raccolta differenziata si attesta al 26%, nei Piccoli Comuni sale al 59%. Il 51% dei Piccoli Comuni, inoltre, promuove il compostaggio domestico per ridurre la quantità di rifiuti organici prodotti dai cittadini. Con Legambiente stiamo lavorando molto e con varie campagne per promuovere queste realtà.
Ringraziamo l'On. Ermete Realacci per le sue risposte che certamente sono servite a fare un po di chiarezza in merito al futuro energetico dell'Italia, non del tutto "verde", a cui andremo incontro nei prossimi anni.
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