venerdì 27 marzo 2009

Mozione del Consiglio Comunale sugli scontri dello scorso 6 marzo in Sapienza - Siamo per una università pubblica, libera e aperta‏

Ieri siamo riusciti a votare una mozione che esprime una posizione chiara sugli scontri in Sapienza dello scorso 6 marzo durante la presentazione del Libro di Marcello Pera, in cui si evidenzia che il dissenso non violento è legittimo, un’Università pubblica, libera e aperta è un caposaldo della democrazia.

In particolare abbiamo sottolineato che si ritiene che in ogni caso la risposta al dissenso non violento devono darla la politica e le istituzioni, non il semplice ricorso alla forza, anche a fronte di infelici provocazioni e tristi contraddizioni storiche come “l’intolleranza gioiosa” con la quale è stata promossa la contestazione;che la “Sapienza” blindata, la trasformazione di un’iniziativa pubblica in un problema di ordine pubblico e la degenerazione del confronto politico nello scontro sono espressione di una sconfitta della democrazia e della politica; si deplora ogni violenta e intollerante azione di dissenso alla stessa stregua del “facile” ricorso alla forza repressiva; si Impegna l’amministrazione comunale e il sindacoad attivarsi di concerto con i rappresentanti delle altre Istituzioni, universitarie e non, al fine di riaffermare il valore del confronto democratico, garantendo la libertà di espressione tramite l’agibilità politica degli spazi universitari e cittadini, e non tramite la loro “militarizzazione”;a verificare se il susseguirsi di episodi conflittuali sia una tendenza dettata da un nuovo indirizzo politico e, eventualmente, a contrastarla repentinamente con determinazione.

Di seguito trovate la mozione completa. Cosa ne pensate?


MOZIONE

OGGETTO: il dissenso non violento è legittimo, un’Università pubblica, libera e aperta è un caposaldo della democrazia - gli scontri in Sapienza di Venerdì 6 Marzo

Visti
gli scontri tra polizia e studenti, con deplorevole seguito di feriti e contusi, avvenuti Venerdì 6 Marzo all’esterno della Sapienza in occasione della presentazione del libro del prof. Marcello Pera, dal titolo “Perché dobbiamo dirci cristiani. Il liberismo, l’Europa, l’etica”;

Visto
che già in occasione del Consiglio di Amministrazione dell’Università di Pisa del 25 Novembre scorso si erano verificati scontri tra studenti e forze dell’ordine;

Vista
la mozione approvata all’unanimità nella seduta del Senato Accademico dell’Università di Pisa del 10 Marzo 2009;

Considerato
che esprimere la solidarietà alle persone rimaste coinvolte risulterebbe essere un semplice atto dovuto se le Istituzioni non si interrogassero a fondo su quanto sta accadendo e non riportassero al centro della discussione politica e istituzionale il concetto di Democrazia;
che, come riportato in un volantino promosso da alcuni dei manifestanti stessi della Sapienza in occasione di un diniego ricevuto per lo svolgimento in una sede universitaria di una propria iniziativa considerata troppo di parte, “l’Università deve essere uno spazio pubblico aperto al sapere, alla conoscenza, al confronto, alla pluralità delle idee....”;
che, in coerenza con quanto espresso, nessuno può e deve mettere in discussione il diritto del senatore professor Pera di esprimersi all’interno della nostra Università in un clima sereno e civile.

Ritenuto
che in ogni caso la risposta al dissenso non violento devono darla la politica e le istituzioni, non il semplice ricorso alla forza, anche a fronte di infelici provocazioni e tristi contraddizioni storiche come “l’intolleranza gioiosa” con la quale è stata promossa la contestazione;
che la “Sapienza” blindata, la trasformazione di un’iniziativa pubblica in un problema di ordine pubblico e la degenerazione del confronto politico nello scontro sono espressione di una sconfitta della democrazia e della politica;

Rilevato
che le stesse forze dell’ordine in passato hanno gestito a Pisa situazioni molto più complesse di quella in oggetto senza particolari tensioni, né eccessive militarizzazioni;


Il Consiglio Comunale di Pisa

Deplora
ogni violenta e intollerante azione di dissenso alla stessa stregua del “facile” ricorso alla forza repressiva;

Esprime
grande preoccupazione per il ripetersi di episodi conflittuali che rischiano di deteriorare i rapporti interni all’Università e alla città di Pisa;

Ribadisce
che nessun atteggiamento violento deve avere cittadinanza nell’Università e nella città di Pisa, spesso identificata con le tre “T”, tolleranza, talenti, tecnologia;
che la libertà di espressione, così come il diritto a manifestare il proprio dissenso civilmente e nel rispetto della posizione degli altri, è un principio fondamentale della nostra Repubblica e delle nostre Istituzioni;

Invita
tutte le Istituzioni, a partire dalle forze dell’ordine, ad attivarsi per prevenire degenerazioni violente e per evitare di dover intervenire con la forza creando pericoli per chi deve garantire l’ordine e chi manifesta;

Auspica
che tutte le forze politiche democratiche cittadine, a partire da quelle presenti in Consiglio Comunale, diano il proprio contributo al fine di ristabilire in maniera duratura un clima di confronto basato sul rispetto reciproco, stigmatizzando tempestivamente e pubblicamente le azioni di dissenso violento e di incivile inneggiamento all’intolleranza, sin dalla fase di diffusione del materiale con il quale queste vengono promosse;

Impegna l’amministrazione comunale e il sindaco
ad attivarsi di concerto con i rappresentanti delle altre Istituzioni, universitarie e non, al fine di riaffermare il valore del confronto democratico, garantendo la libertà di espressione tramite l’agibilità politica degli spazi universitari e cittadini, e non tramite la loro “militarizzazione”;
a verificare se il susseguirsi di episodi conflittuali sia una tendenza dettata da un nuovo indirizzo politico e, eventualmente, a contrastarla repentinamente con determinazione.


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Sconto a residenti e studenti con PisaPass‏

L´amministrazione ha mantenuto l´impegno preso in campagna elettorale: scontare ai residenti, ma anche ai non residenti che dimostrino di avere un regolare contratto di locazione, i costi dei parcheggi in città. Ieri in Consiglio Comunale è stato votato il regolamento attuativo che permetterà a Pisamo di rendere operativa la proposta presentata insieme al Bilancio di Previsione.

Un altro ottimo risultato raggiunto dall’Amministrazione Comunale.


Per conoscere tutte le info e i dettagli, qui di seguito il comunicato della Pisamo.

Il comunicato della PisaMo

La PISAMO spa informa che è in corso presso le circoscrizioni e all´ufficio relazioni con il pubblico del Comune di Pisa (URP) la distribuzione dei moduli per richiedere la tessera Pisa Pass , che consentirà ai residenti e agli studenti di usufruire di una riduzione del pagamento della sosta dal 1 giugno 2009:

Nella zona B1 e B2 da € 0,60/h, la tariffa per il residente e lo studente sarà di € 0,45

Nella zona A1 da € 0,60/h, la tariffa per il residente e lo studente sarà di € 0,45

Nella zona A2 da € 1,25/h, la tariffa per il residente e lo studente sarà di € 0,90

Nella zona A3 da € 1,75/h, la tariffa per il residente e lo studente sarà di € 1,35

I residenti e gli studenti potranno richiedere una PisaPass per ogni mezzo di proprietà, anche se l´auto è intestata ad un parente di 1° grado (figlio o genitore) ; se quest´ultimo è residente a Pisa o nei paesi limitrofi di Pisa ( Calci, San Giuliano Terme, Cascina, Vecchiano, Vicopisano, Calcinaia, Pontedera, Viareggio, Lucca, Collesalvetti e Livorno ) è necessario che l´intestatario del mezzo presenti un comodato d´uso registrato all´Agenzia delle Entrate (Pisa galleria G.B. Gerace 7/15 tel. 050/315471).
Nel caso in cui, invece, il parente di 1° grado non sia residente nelle zone di cui sopra, dovrà produrre un´autocertificazione dichiarando di lasciare l´auto in comodato d´uso gratuito al soggetto che presenta richiesta per ottenere la tessera PisaPass.
Non verranno rilasciati i PisaPASS per le autovetture Euro 0, ovvero autovetture M1 non catalitiche a benzina e diesel non omologate secondo la Dir. 91/441/CEE
Gli interessati dovranno recarsi alle circoscrizioni o all´URP con la fotocopia della carta di circolazione.
Gli studenti oltre la fotocopia della carta di circolazione dovranno produrre fotocopia del contratto di locazione registrato e fotocopia del libretto Universitario.


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domenica 22 marzo 2009

DOPO VELTRONI...ORA TUTTI ADDOSSO A RENZI‏

Da qualche settimana a questa parte è cominciata una nuova moda, nel Pd e non solo. Sparare addosso a Matteo Renzi.

Hanno cominciato gli sconfitti alle primarie di Firenze e i loro padrini. Poi una parte degli ex Ds fiorentini, feriti nell’orgoglio dalla vittoria di un candidato che Ds non era. Comprensibile. Quello che, francamente, non capisco - o meglio lo capisco e lo trovo intollerabile – è che il tiro al bersaglio contro il vincitore delle primarie di Firenze, eletto dalla gente, si stia generalizzando . Dirigenti di ogni provenienza, opinionisti, persino i pasdaran delle primarie sempre e comunque. Venuto a mancare Veltroni, ora si dà addosso a Renzi.

E allora via con articoli e prese di posizioni (l’ultima, sul Riformista, di Peppino Calderola), conversazioni pubbliche o private. La direttrice dell’Unità scrive addirittura che “la vittoria di Matteo Renzi alle primarie fiorentine segna il punto più basso della storia del partito” e sostiene che Renzi è tutt’altro che nuovo, visto che ha alle spalle una lunga storia di partito. Vivaddio, aggiungo io! Ma come? Il problema non erano i giovani cooptati, sbucati dal nulla e catapultati in testa alle liste alle ultime Politiche?

Persino sui blog e su facebook, è tutto un fiorire di perplessità. E’ diventato trendy dire che Renzi è di destra. Sì, ha vinto le primarie Firenze, ma chissà come (traduzione: l’hanno votato quelli della destra). E comunque, si dice con ghigno di masochistica soddisfazione, vedrete che non vincerà le elezioni. Tanto è l’astio che ci si augura di perdere Firenze. Si arriva all’attacco personale: Renzi? Un ragazzetto pieno di sé, arrogante, totalmente inadeguato. Si arriva a prenderlo in giro anche per il maglione. Se lo indossa Walter o Dario, è fico, se lo mette Matteo diventa il look di un “giovanottone pasticcione”.

Quando ogni argomentazione è finita, ecco la chicca finale: se i giovani sono questi, si dice, meglio i vecchi. Persino i peggiori. Come è arrivato a scrivere Caldarola, commentando l’ultima puntata di Anno Zero dove, insieme a Renzi, c’era Antonio Bassolino. Tra i due, ha detto, scelgo il governatore della Campania. Buon per lui. Io tra Bassolino e Renzi scelgo mille volte Matteo. Se persino un osservatore lucido come lui arriva a preferire un amministratore ultrasessantenne, travolto dagli scandali e dai rifiuti a un 34enne che finora ha vinto tutto quello che poteva vincere, allora vuol dire che qualcosa non funziona. E si rischia tanto di assomigliare a quegli sciocchi che guardano il dito, ignorando la Luna.

Tutto questo accade, peraltro, mentre la stampa internazionale ha gli occhi puntati sulla sua vittoria (il Time lo ha addirittura paragonato ad Obama), la destra fiorentina lo teme e non sa ancora bene chi contrapporgli e forze con le quali dovremmo aumentare la collaborazione (vedi l’UDC) sono pronte a sostenerlo.

Ci riempiamo quotidianamente la bocca di parole sul ricambio generazionale. Servono giovani che non siano il frutto di un casting ben fatto, ma di un cursus honorum che li renda in grado di avere una marcia in più, così che il loro merito non sia solo l’età. Poi ne arriva uno così. Che corrisponde perfettamente all’identikit. E’ riuscito ad emergere, ha una squadra di coetanei intorno, ha fatto leva sulle sue capacità, sul coraggio di metterci la faccia. E ha saputo conquistare il consenso. Anche nelle zone più “rosse” della città. Il che è tanto più miracoloso in un momento in cui il Pd continua a perdere da un anno e mezzo. E il suo partito che fa? Gli spara addosso. Perché è ambizioso. Perché ha la lingua un po’ troppo lunga. Scusate: ma non avevamo detto che i giovani si devono svegliare e sfidare i grandi? E come dovrebbero farlo, chiedendo il permesso?

E i giovani? Quelli come me, i ventenni e i trentenni del partito, che fanno? Lo guardano con sufficienza anche loro. Quelli che a parole sono pronti a fare la rivoluzione, quelli che vogliono “uccidere il padre” , dove sono? La verità è che la malcelata ostilità di molti di loro verso Matteo somiglia tanto ad invidia. L’invidia di chi si sente tanto bravo e sottovalutato, ma non ha la forza di condurre una battaglia a viso aperto.

A meno che il problema di Renzi non sia un altro. Non un aspetto caratteriale (Massimo D’Alema vi sembra simpatico?). Non la sua età (difficile rimproverargli l’inesperienza). Dirò una cosa scomoda: il sospetto è che Renzi non vada giù per altre ragioni. Innanzitutto perché è cattolico. Urta il fatto che non solo sia riuscito a battere lo stato maggiore del partito e che continui a sfidarlo senza precauzioni diplomatiche. Ma che lo faccia senza mettere i suoi valori tra parentesi. Dice che la cittadinanza onoraria a Beppino Englaro è una provocazione, che è contro i matrimoni gay. Che non voterebbe una legge per l’eutanasia. E via così. Questo dà davvero fastidio di Renzi. Perché esce dai binari. Perché non la pensa come il bignamino delle opinioni politicamente corrette “di sinistra” prevederebbe. E’ rivelatrice la scena a cui abbiamo assistito ad Anno Zero, quando due signore anziane al mercato gli rimproverano il suo passato scout – “mica possiamo votare come sindaco un pretino come te” – e lui, orgoglioso: “non mi vergogno di essere cattolico”.

L’altro motivo per cui irrita è che fa sul serio. Ha dimostrato che si può fare sul serio. Perché non si accontenta del ruolo che il copione prevede per gli outsider. E’ libero e anche ora, che avrebbe bisogno di “allargare” il suo consenso, di dire cose gradite, non sceglie cinicamente di compiacere ma continua, coraggiosamente, a dire quello che pensa. Per questo Renzi viene attaccato. Ed è proprio per questo che è stato premiato dai cittadini.

Mi piacerebbe sbagliarmi, ma allora dovete spiegarmi, in maniera molto più convincente, che cosa non va in lui.

Nel frattempo, io sto con Matteo. E ho voglia di “pensare l’impensabile” come dice il Time. Dovrebbero farlo anche i tanti miei coetanei che, come me, non hanno ancora avuto il coraggio di farlo e tutti quelli che tengono al futuro del nostro partito nuovo che sembra già così vecchio.

Antonio


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Problemi difficili, soluzioni incerte…..

Da alcuni mesi la politica sanitaria per la tutela della salute dei membri di una comunità politica è sotto pressione. Non solo in Italia, per la verità. Basti pensare al tentativo dell’amministrazione Obama, per una riforma sanitaria estesa a tutti i cittadini statunitensi, ovvero ai sistemi di welfare europei che hanno sempre meno risorse per garantire i diritti sociali in modo universalistico ai loro cittadini. Per di più, in periodi di vacche magre, come quello attuale, il razionamento e la scelta delle priorità su chi e che cosa curare sono all’ordine del giorno.Tuttavia, in Italia, da alcuni mesi, dal caso Englaro alle cure mediche per i clandestini presenti sul territorio italiano pongono riflessioni in ordine alla definizione del diritto alla salute. Non entriamo in questa sede nel merito delle dichiarazioni del papa sull’Aids e i metodi più efficaci per debellarla….
Nell’assetto della futura “Italia federale”, per quanto riguarda le regioni, le funzioni fondamentali concernenti sanità, assistenza, istruzione e tutti gli altri livelli essenziali delle prestazioni (Lep) sui diritti civili e sociali, saranno calcolati attraverso una perequazione al 100% sui costi standard e non più sulla base della spesa storica. Nella sanità si terrà conto in ogni caso dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) che devono essere garantiti, nonché dei dettami dell'art.32 della Costituzione.
Ora, l’esame alla Camera del Ddl sulla Sicurezza, già approvato al Senato (al di là dei tatticismi di alcuni politici del centrodestra in vista del nascente Pdl), volto a sopprimere il comma 5 (“l’accesso alle strutture sanitarie, sia ospedaliere, sia territoriali, da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all'autorità, salvo i casi in cui sia obbligatorio il referto, a parità di condizioni con il cittadino italiano”) dell’articolo 35 del Decreto Legislativo 286 del 1998, Testo Unico sull’immigrazione, che sancisce il divieto di “segnalazione alle autorità”, apre la delicata questione relativa alla segnalazione dei clandestini che si presentano al pronto soccorso. La norma in discussione stabilisce, infatti, che il medico possa segnalare alle autorità chi non e' in regola, prevedendo tuttavia che non ci sia alcun obbligo. Rimandando la decisione alla libertà di coscienza di ogni singolo medico, la discrezionalità o meno dell’assistenza sanitaria comporta una maggior incertezza e potrebbe compromettere la fiducia e il rapporto di ‘confidenzialità’ tra istituzione sanitaria, medico curante, paziente, con conseguenze negative dal punto di vista della salute intesa come interesse della collettività, oltre che come diritto individuale (art.32 Cost.).
A tal proposito, il dibattito parlamentare in ordine al pacchetto sicurezza (Ddl 733), in generale pone, anche per le politiche sanitarie, una questione di fondo, vale a dire che il tema cittadinanza sanitaria per gli immigrati non è solo un problema giuridico.
Per l’immigrato la difficoltà di accesso alle strutture sanitarie del paese ospitante è, prima ancora che un problema di carattere etico-giuridico circa la legittimità del diritto alla salute e all’assistenza sanitaria, un problema di carattere culturale e psicologico che rischia di aumentare il disagio esistenziale (fragilità, insicurezza, precarietà) dovuto allo sradicamento dai propri valori, tradizioni e comunità di riferimento. Come trattare allora, dal punto di vista della pretesa a trattamenti sanitari, individui e gruppi sociali non appartenenti alla comunità politica? Lo status di “cittadino”, contrapposto a quello di “straniero” influenza fortemente la piena tutela giuridica di un diritto. Non entriamo qui nel merito di quale sia la nozione di persona cui facciamo riferimento: se quella di cittadino membro di una collettività, per cui l’individuo potrà godere di certi benefici e sostenere alcuni costi, oppure quella di individuo che esige il riconoscimento della propria sfera privata autonoma rispetto alla sfera cui il potere politico è indirizzato a interferire. E’ opportuno riconoscere che, anche nelle democrazie occidentali, l’appartenenza dell’individuo a un determinato ordinamento politico lo legittima a una maggiore protezione giuridica (diritti di cittadinanza in senso lato) di colui che non gode di tale status.
Al di là dei buoni propositi e affermazioni di principio (dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino della Rivoluzione Francese del 1789, alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo approvata il 10 dicembre 1948 dall’Assemblea Generale dell’Onu, alla Conferenza dell’Oms tenutasi ad Alma Ata nel 1978 e, infine, alla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia approvata nel 1979 sempre dall’Onu, nonché ad altre carte e documenti internazionali), parlare di diritti umani intesi come diritti morali universali – che prescindono dunque da razza, sesso, religione, nazionalità e posizione sociale – pur esprimendo un ideale di cittadinanza universale in grado di riconoscere i diritti degli individui in quanto tali, comporta che i singoli stati non siano solo d’accordo in termini di dichiarazioni e raccomandazioni “prescrittive”, ma che da principi morali universali discendano politiche pubbliche antidiscriminatorie.
Certo è che il dibattito di queste ultime settimane ripropone il problema di come si deve comportare lo Stato di fronte a un immigrato extracomunitario presente sul territorio italiano in quanto clandestino. Per ora non ci resta che concordare con Zincone [1991: 435] laddove, con riferimento ad un’affermazione di Brubaker - «L’uguaglianza inerente all’idea di cittadinanza è un’eguaglianza limitata. È necessariamente ristretta ai cittadini. La piena uguaglianza tra cittadini e non cittadini renderebbe la cittadinanza priva di significato» [Brubaker 1989: 17] - sostiene che «l’accoglienza assoluta e indiscriminata non è un prezzo necessario da pagare per soddisfare criteri di uguaglianza».

Ringrazio per gli spunti l’amico Nicola Pasini e mi scuso con lui per non essere presente a Milano all’incontro degli ex alumni della Scuola di Formazione Politica CFP


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martedì 10 marzo 2009

Sicurezza: i cittadini partecipino ma non con le ronde‏

Credo sia importante una premessa, anzi, la ritengo necessaria, perché quando si affrontano temi come quello della sicurezza bisogna stare molto attenti alle parole che si usano e ai concetti cui esse si legano. Oggi si tende a fare molta confusione tra legalità, sicurezza, degrado, decoro urbano. Sono parole che usano tutti, ma appendendo a esse concetti diversi.
Sono per esempio convinto che la grande domanda di sicurezza che da tutto il paese è emersa prepotentemente in questi mesi sia almeno in parte una domanda di città meno degradate, più vivibili, direi addirittura anche più serene.
E indubbiamente ci sarebbe molto da dire, su questa domanda, che, mi pare, è stata anche molto manipolata, strumentalizzata, usata per interessi più o meno trasparenti.

C'è forse un paese più insicuro rispetto ad anni fa, ma c’è sicuramente un paese che si percepisce più insicuro, come ci dimostrano molte statistiche sul crimine e sulla percezione del crimine in Italia. Anche la nostra Relazione 2008 sullo stato di insicurezza, solo per fare un esempio, conferma che non esiste una stretta correlazione tra i dati statistici ufficiali sulla criminalità e la percezione della sicurezza dei cittadini.

In Toscana, a fronte di un indubbio trend di aumento delle denunce, i cittadini continuano a sentirsi relativamente sicuri, o almeno più sicuri che altrove, tanto che ci collochiamo all'undicesimo posto nella graduatoria regionale per percezione dell'insicurezza.

Inutile ovviamente manifestare soddisfazione per un dato come questo, che comunque non può nascondere il fatto che anche da noi è in crescita l'insicurezza e con essa quello che chiamerei un sentimento di vulnerabilità. E di tutto questo va tenuto conto perché rappresenta un aspetto importante della qualità della vita di tutti noi.

Questa domanda di sicurezza rappresenta una domanda reale, importante. Le istituzioni non vi si possono sottrarre. I cittadini, in effetti, chiedono di più della semplice sicurezza, chiedono di poter uscire tranquillamente la sera, chiedono di poter vivere serenamente nelle loro comunità. Chiedono insomma, un diritto alla tranquillità o serenità, che è un concetto bellissimo, che mi pare inquadri tutti gli altri che ho menzionato e che implichi un impegno davvero trasversale, che va dalle politiche di prevenzione per la sicurezza fino alle politiche sociali, alle politiche di pianificazione urbanistica e alle politiche dei tempi della città. Per arrivare a toccare gli aspetti più quotidiani dell'impegno di un'amministrazione: per esempio come si cura un giardino pubblico o come si regola la circolazione su una strada.

Questo concetto di serenità esige un impegno che può essere assai complesso per le molte competenze che chiama in causa, eppure rappresenta l'unica alternativa a scorciatoie che non portano da nessuna parte, se non forse all'individuazione di capri espiatori e alla demagogia di chi invoca le maniere forti.

La premessa è stata lunga ma mi sembrava doverosa, perché in realtà rappresenta il background che sta dietro la nostra proposta di legge “in materia di contrasto al degrado e di tutela della sicurezza urbana” su cui da mesi gli uffici regionali stanno lavorando.

A problemi complessi, insomma, bisogna attrezzarsi con risposte complesse, e in primo luogo con una piena assunzione di responsabilità. La sicurezza, intesa nel suo significato più ampio, diventa uno degli impegni del governo locale, assumendo un rilievo nella strategia dell'amministrazione della cosa pubblica che non le era propria fino alla fine degli anni Novanta.

Molti enti locali si sono effettivamente mossi, raccogliendo anche un “invito alla creatività” che il ministro degli interni a suo tempo rivolse ai sindaci. Ne è venuto fuori qualcosa che, a mio parere, ha a che vedere più con la complicazione che con la complessità. Una valanga di provvedimenti assunti dai sindaci in qualità di ufficiali del governo, e già qui ci sarebbe molto da dire; un profluvio di ordinanze, più o meno accettabili, più o meno comprensibili in una logica di emergenza, ma che hanno creato una situazione estremamente caotica, frammentaria, incerta, con forti disomogeneità anche nello spazio di pochi chilometri. Senza dimenticare che resta tutta da dimostrare la possibilità di contrastare situazioni urbane di degrado a colpi di ordinanze.

Con la nostra legge intendiamo rilanciare una piena assunzione di responsabilità da parte del governo regionale, quale soggetto che può coordinare, omogeneizzare, armonizzare le scelte sui comportamenti rilevanti, sui provvedimenti da adottare, sulle sanzioni da contemplare. Tutto questo fornendo una disciplina generale nella quale si possano inserire o valorizzare provvedimenti delle singole amministrazioni. Con il nostro lavoro stiamo individuando i comportamenti rilevanti ai fini dell'ordinato svolgersi della vita delle comunità locali che possono essere disciplinati dalle amministrazioni comunali, distinguendo bene tra concetti come la convivenza civile, la vivibilità, l'igiene e il pubblico decoro, la quiete e la tranquillità delle persone.

Non solo. Mi pare importante sottolineare che accanto all'individuazione dei comportamenti rilevanti abbiamo prodotto un’attenta analisi sugli spazi pubblici, come premessa a interventi che ci consentano di sottrarli al degrado fisico.

Tutto questo con la consapevolezza che occuparsi del disegno urbano, cioè dell’organizzazione degli spazi, dell’impianto degli edifici, dell’uso dei piani terra e dei piani superiori, della struttura delle aree verdi, del tracciato delle strade, dell’illuminazione o dell'ubicazione delle fermate del trasporto pubblico, rende le nostre città più vivibili e concorre ad aumentare la fiducia dei cittadini, mentre un disegno urbano mal concepito può produrre spazi vuoti, ambienti squallidi, generare paura e attrarre comportamenti incivili e atti criminali.

In questo paese troppe volte negli ultimi mesi abbiamo sentito invocare l'uso dell'esercito o delle forze dell'ordine, come soluzioni a problemi che richiedevano risposte ben più articolate e complesse. Allo stesso modo troppo spesso abbiamo sentito di cittadini armati, di ronde, di appelli all'autodifesa, di tentativi di far passare l'idea di punizioni draconiane o esemplari...

Io penso invece che ci sia bisogno di molto buon senso, di equilibrio. Per capire, a esempio, che non c'è bisogno di pene esemplari, ma semmai di pene certe, cioè di una giustizia che funzioni, in grado di assolvere le sue funzioni con tempi accettabili; che non c'è bisogno di presidi militari nelle nostre strade, ma semmai di risorse e mezzi per le forze dell'ordine che devono essere messe in grado di lavorare e valorizzate nella loro professionalità; e che i nostri quartieri, le nostre periferie, potranno diventare davvero sicure solo quando saranno anche più vivibili.

Quando parlavo di scorciatoie mi riferivo anche ad alcuni aspetti del recente pacchetto sicurezza del governo, con disposizioni che temo che non solo possano non centrare gli obiettivi proclamati ma addirittura produrre situazioni più confuse e problematiche.

Questo, anche tenendo fuori i contenuti a mio avviso meno condivisibili: a partire dalla possibilità di denuncia degli immigrati irregolari da parte dei medici, norma che ha sollevato una forte reazione da parte dello stesso ordine professionale chiamato a tutelare i principi deontologici e che, mi pare, può creare notevoli problemi anche dal punto di vista della salute pubblica.

Ma non si può non essere preoccupati anche per tutto quanto si sta dicendo e facendo oggi sulle ronde. Bene ha fatto il prefetto di Firenze nei giorni scorsi a fermare il ribollire di propositi e iniziative con un invito alla cautela, in attesa che arrivino i regolamenti attuativi aiutandoci magari a capire meglio cosa sono o cosa dovrebbero essere, nelle intenzioni del governo, soggetti che, a sentire le varie dichiarazioni, sono ronde che non si vogliono nemmeno chiamare ronde.

La situazione, insomma, è molto confusa, come purtroppo accade sempre quando si cede alla lusinga degli slogan di facile presa.

Io penso che la strada da battere sia un'altra. Quella di forze di polizia più preparate, più addestrate, più motivate. E anche quella di un nuovo modello di polizia, basata sulla capacità di legarsi davvero ai territori e ai cittadini: e penso ai modelli di polizia di comunità o di prossimità su cui il governo regionale della Toscana sta lavorando, andando a scuola, per così dire, da paesi che da tempo vantano questa esperienza, come il Canada.

E' in questo modello che, a mio parere, sta anche il senso e la possibilità di una partecipazione e di una collaborazione dei cittadini al bene comune della sicurezza. Che è cosa ben diversa dalle ronde che, al momento, mi sembra siano qualcosa di poco pensato e di molto improvvisato.

In ogni caso penso che sia importante che anche su questo la Toscana non vada in ordine sparso. Penso che sia davvero necessario che dalla nostra regione emerga una risposta comune e coerente, ispirata a un modello condiviso di relazioni tra forse di polizia, istituzioni e cittadini: qualcosa che non sia solo il frutto di tentazioni demagogiche, ma che semmai valorizzi la nostra esperienza e la forza delle nostre comunità.

Per questo sarà bene che le istituzioni locali si confrontino e si parlino, a tutti i livelli. E su questo terreno la Regione Toscana intende fare la sua parte, non sottrarsi magari usando la tattica dello struzzo e nascondendosi dietro ragionamenti sulla mancanza di competenze dirette. Per questo fin dai prossimi giorni proporrò un incontro a tutti i sindaci dei capoluoghi di provincia e comunque delle città più sensibili alle questioni della sicurezza e della vivibilità, per un confronto a tutto campo su queste tematiche.

Con la consapevolezza, ancora una volta, che non ci sono risposte precostituite, ma solo un gran bisogno di fare un percorso quanto più possibile condiviso, in cui ognuno faccia la sua parte.

Federico Gelli
Vice Presidente della Regione Toscana con delega al coordinamento delle politiche per la legalità e la sicurezza dei cittadini




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lunedì 9 marzo 2009

Iniziativa con Stefano Ceccanti 14 marzo ore 10.00 - tema Testamento Biologico‏

Continua il ciclo di formazione politica del PD Unione Comunale di Pisa.
Sabato 14 marzo, rifletteremo su un tema di attualità: i diritti civili e in particolare il testamento biologico. Diverse posizioni e sfumature riguardanti questo tema esistono nel nostro partito, quale migliore cosa allora di affrontare la questione?Seguiremo un approccio da formazione, cercando di capire come inquadrare il problema, individuando i concetti fondamentali e le parole chiave da usare nella strategia comunicativa.Ne parleremo con Stefano Ceccanti.L'iniziativa avrà luogo in Via Fratti sabato 13 marzo ore 10.00
Vi aspetto numerosi
Antonio


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domenica 8 marzo 2009

Una scelta coraggiosa - Chiedere l'albo pubblico "Testamento Biologico"

In Consiglio Comunale martedi scorso il partito Democratico di Pisa ha fatto un ulteriore passo avanti nella definizione di una linea politica comune e condivisa.
E’ stato infatto votato un ordine del giorno per chiedere alla giunta la creazione, presso il Comunedi Pisa, di un apposito registro per raccogliere, autenticare e conservare le dichiarazioni dei cittadini in ordine alle proprie “Direttive Anticipate” o “Testamento Biologico” secondo il modello diffuso dalla Fondazione Veronesi nel quale, liberamente, la persona dichiara quali terapie accettare o meno in caso di incapacità e nomina un fiduciario al quale affidare l’esecuzione della propria volontà (di seguito il documento completo).

Ciò che a livello Nazionale ha creato tante tensioni interne al Partito…a Pisa è stato momento di unione e di dialogo!!! Ecco cosi possiamo costruire un partito nuovo che sappia dialogare con i cittadini e sappia proporre nuove politiche che sintetizzino le diverse storie ed esperienze che compongono il PD.


Credo sia stato davvero un grande risultato..che non è stato semplicissimo da raggiungere…ma che rappresenta la nostra voglia di costruire percorsi e raggiungere obiettivi nuovi



Cosa ne pensate?



Antonio







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venerdì 6 marzo 2009

Combattere le lobby con altre lobby

Pochi giorni fa, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha messo in atto quella che potremmo definire una preventive strategy. Dopo aver gettato sul tavolo il suo piano economico da 1.170 miliardi di dollari è passato subito all’attacco, piuttosto che aspettare una sicura e implacabile guerra di logoramento dei suoi avversari. Quest’ultimi non possono che essere numerosi, agguerriti e organizzati, se la sua candidatura, il suo piano e la sua presidenza tutta, sono votate al cambiamento.Ma se qualcuno immagina che, come vuole la logica italiana, Obama abbia sferrato un attacco principalmente agli oppositori politici, e segnatamente partitici, si sbaglia. L’obiettivo della sua dichiarazione di guerra sono le lobby, ovvero i gruppi di pressione che difendono interessi particolari, che finora hanno dominato a Washington. Partire da questa definizione essenziale, quasi scarna, ci può servire per capire al meglio il fenomeno lobbistico americano, la concezione della pressure politics che vi sta alla base e, infine, cercare di intuire quali potrebbero essere le intenzioni del neo-presidente.
Sgombriamo subito il campo da una tentazione: catalogare tutte le lobby e i lobbisti come pura incarnazione del male. Così come è assolutamente vero che esistono professionisti che si sono resi colpevoli di reati o che hanno attuato pratiche illegali, allo stesso modo non è possibile generalizzare su un fenomeno complesso, ma anche molto normato e sottoposto a rigide e (generalmente) rispettate regolamentazioni. Nessuno di noi, se non al bar tra un quotidiano sportivo e un caffé, sarebbe pronto ad affermare che tutti gli avvocati sono disonesti visto che alcuni di essi non rispettano la legge e l’etica professionale. Ugualmente, di fronte ad alcuni lobbisti americani che rischiano utilizzando la corruzione, la stragrande maggioranza di essi lavora rispettando leggi ben precise e restrittive, che arrivano a vietare la corrisposizione di regali o agevolazioni non solo ai decisori pubblici, ma anche ai relativi staff (Honest Leadership and Open Government Act, 2007). Accanto ad una precisazione sugli “strumenti” della pressione (ovvero i lobbisti) è necessario anche interrogarsi su chi attua negli Stati Uniti un’azione di pressione politica, direttamente o attraverso dei professionisti esterni. La risposta in questo caso è semplice: tutti. Bisogna senza timori superare lo stereotipo del lobbista meschino che difende solo gli interessi di ricche e potenti corporation che inquinano con il petrolio, fanno ammalare con il fumo o uccidono vendendo e diffondendo armi. Fortissime lobby, che finanziano e influenzano ampiamente tutti i decisori pubblici americani (con mezzi non soltanto economici, ma anche di carattere elettorale, come il voto), sono anche quelle della sanità (intesa sia come assicurazioni che come dipendenti), ma anche quella degli insegnanti, dei pensionati, accanto a tutti i settori industriali, che si raggruppano in associazioni di categoria o agiscono individualmente (come capita con le grandi company). In maniera più specifica, infatti, i lobbisti sono tutti coloro che portano avanti in modo professionale un’attività di pressione, solitamente rivestendo il ruolo di funzionari a tempo pieno, figurando all’interno degli organigrammi di organizzazioni, o come liberi professionisti, che vengono contattati per lavorare al servizio di singole società, ma anche (e solitamente questa figura viene sottovalutata nella realtà italiana) dei cittadini e delle loro associazioni. Da questo punto di vista va allora diviso nettamente in due il mondo della rappresentanza di interessi particolari: da un lato coloro che si mobilitano per difendere interessi economici (oggettivamente più forti in termini di risorse economiche), dall’altro quelli che si mobilitano per tutelare interessi “senza fini di lucro” (più forti in termini di risorse “umane”).
È dunque intorno a questo concetto che ruota la pressure politics americana, ovvero intorno al tentativo di far coincidere il “proprio” interesse particolare (sia esso una normativa preferibile nel proprio ambito industriale, delle sovvenzioni al settore proprio settore produttivo, ma anche l’attuazione e la tutela di diritti in ambito ambientale o civile) con l’interesse generale perseguito dalla società sotto la guida della politica. Sin dalle lezioni dei “padri fondatori” come James Madison (1751-1836), gli Usa hanno scelto una strada opposta rispetto a quella perseguita dalle democrazie di tradizione rivoluzionaria-giacobina (come la Francia e l’Italia). Negli Usa, per prevenire il rischio che un interesse particolare riesca a dominare sugli altri assoggettando completamente l’interesse generale, si è favorito il più possibile la diffusione di questi interessi particolari e tentando di normarne l’attività di pressione. Un processo che dunque richiede la più completa trasparenza per funzionare, pena la sua solidificazione attorno a “potentati”.
Solo avendo ben in mente tutto ciò è possibile capire quanto realmente detto da Obama nel suo intervento e quale sia il significato della sua imperiosa affermazione: “loro sono pronti a combattere. Il mio messaggio per loro: lo sono anche io!”. La sua mossa non è una negazione della pressure politics in toto e nemmeno una retorica denuncia delle malefatte dei “brutti, sporchi e cattivi” lobbisiti, con annessa promessa del loro totale debellamento. Il presidente si scaglia contro quei gruppi consolidati di interessi economici che vorranno ostacolare i suoi progetti e le sue promesse, chiamando a raccolta proprio altri portatori di interessi particolari: coloro che NON sono “special interests and lobbyists who are invested in the old way of doing business” (e quindi chiama a sè quei settori, come l’industria “verde”, che finora sono stati avversati perché “avversari” delle lobby prima dominanti) e gli stessi cittadini, che autonomamente compongono l’altra “metà del cielo” delle lobby, ovvero quelle non a fine di lucro, o che semplicemente si mobilitano per tutelare i propri diritti, il proprio voto, e il cui agire dal basso viene battezzato grass roots lobbying (ovvero, un lobbying che agisce come le radici dell’erba, che cresce bottom up).
In altre parole, il sogno americano continua anche in questo caso: non rinunciando alle lobby, manifestazione della libertà di espressione, ma rinnovandole. Obama intende approfittare della crisi e del forte consenso popolare per sfondare i sancta sanctorum, senza rinunciare al pluralismo.
Anche questo è Change, yes we can.



P.s. Un ringraziamento agli amici del CFP per gli spunti interessanti



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giovedì 5 marzo 2009

Articolo che vi consiglio di leggere‏

Ciao a tutti,
vi invio di seguito un bellissimo articolo di Curzio Maltese che rappresenta benissimo il nostro percorso comune. Cosa ne pensate? Vi ci rivedete?
Un abbraccio e grazie per il continuo supporto

Antonio


Ricorrono i termini "Bisogna", "fare" e "politica", oltre che "destra" e "Stato"
di CURZIO MALTESE


Le crisi storiche dei grandi partiti occidentali si sono quasi sempre concluse con l'avvento di una nuova generazione di trentenni e quarantenni. E' successo al Labour inglese e ai socialisti spagnoli, come ai loro avversari, poi ai democratici americani, oggi accade ai socialdemocratici tedeschi e svedesi.Tutti partiti che si chiamano così da oltre un secolo. Il centrosinistra italiano, dopo ogni sconfitta, ha cambiato marchio e simboli, conservando linguaggio e nomenklatura. Veltroni e D'Alema litigano da vent'anni e da quattro partiti (Pci, Pds, Ds e Pd), ha scritto Ezio Mauro.

Questa finzione gattopardesca è ormai intollerabile all'elettorato che reclama il ricambio del gruppo dirigente nei sondaggi e nelle primarie. A volte senza neppure conoscere i nuovi, soltanto per esclusione. Siamo andati alla ricerca dei giovani democratici e abbiamo scoperto, per cominciare, che esistono. Non è vero che dietro l'oligarchia c'è il nulla. Al Nord, Centro e Sud s'incontrano donne e uomini di venti, trenta o quarant'anni, animati di passione politica, con le loro storie, professioni, idee. Da domani potrebbero prendere il posto dei vecchi senza farli rimpiangere troppo. E forse per nulla.

Migliori o peggiori dei Veltroni e D'Alema, Rutelli e Parisi, Bersani e Letta, Bindi e Marini? Giudicheranno i cittadini. Di certo, diversi. Più curiosi del futuro che del passato. Più simili ai cittadini che dovrebbero votarli. Non è soltanto questione di età, piuttosto di cultura e linguaggio. Mentre i vecchi leader litigavano sulle rispettive appartenenze, è cresciuta una generazione per la quale le categorie novecentesche hanno perso senso. A cominciare dalla questione dominante del secolo scorso, il comunismo. Che per l'Italia continua a essere un'ossessione. Ex e post comunisti, dialoganti con ex democristiani, in lotta con anticomunisti, a loro volte spesso ex comunisti, come se il muro non fosse mai caduto, in un delirio passatista di revisionismo rancoroso.


Questi altri, i giovani, non sono ex di nulla. Hanno votato Ulivo già a diciott'anni, sono cresciuti in una casa riformista comune, dove non è difficile trovarsi d'accordo sui valori fondanti. Cattolici e non cattolici, difensori della laicità dello stato. Moderati e radicali, convinti che il conflitto d'interessi (di Berlusconi, di Pincopallo o del governatore di una regione "rossa") sia un cancro della vita pubblica nazionale. Milanesi o siciliani, fieri europeisti, con esperienze di studio e lavoro all'estero, contatti quotidiani con coetanei che fanno politica a Berlino o Parigi, Londra o Madrid. In una specie di permanente Erasmus via Internet, dove ci si scambiano idee e informazioni sui temi del qui e dell'oggi, l'ambiente, l'energia, la crisi, i nuovi lavori, l'immigrazione. Assai più di quanto facciano con i colleghi europei i nostri parlamentari in villeggiatura politica a Strasburgo e Bruxelles, indipendentemente dal gruppo europeo al quale sono iscritti.

Hanno tutti vite che si possono raccontare oltre la sezione di un partito, non sono figli di dirigenti e funzionari, considerano la politica un impegno a termine, almeno per ora. E dalle esperienze di vita quotidiana hanno maturato quello che forse è mancato in tutti questi anni alle leadership di centrosinistra. Una visione della società italiana nei fatti alternativa a quella della destra di Berlusconi. Un'Italia più aperta e tollerante, ben disposta al merito e alla creatività, assai più integrata nel resto d'Europa, meno anomala e autarchica, familista e obbediente ai vescovi. Ma anche una sinistra meno autarchica e difensiva. E' una visione dove il coraggio si mescola con l'ingenuità. Ma forse è di coraggio e ingenuità che la sinistra ha bisogno.
Nel suo primo anno di vita il Pd non si è concentrato sulla più grave crisi economica dagli anni Trenta ma sull'annosa questione del dialogo con Berlusconi. Dialogo sì, dialogo no, a prescindere, come stile politico. Senza neppure capire che, visto il risultato elettorale, Berlusconi non ha più bisogno di dialogo. Il temuto o sperato (da Veltroni) pareggio elettorale non c'è stato. Al massimo il premier ha oggi bisogno di un'opposizione che lo aiuti a far ingoiare all'opinione pubblica irriducibilmente democratica un certo numero di leggi razziali impensabili nel resto del continente, il regolamento di conti finale con la magistratura e qualche raffica di nomine di basso livello alla Rai o negli enti pubblici. Tutte operazioni alle quali procederà in ogni caso, anche senza la benedizione degli avversari. A questo brutale stravolgimento delle garanzie costituzionali, il centrosinistra ha offerto in questi anni soltanto una resistenza trattabile e poco convinta. Fino alla resa ideologica di contrapporre la ronda di sinistra a quella di destra, la caccia al lavavetri democratica contro quella leghista, il buon portatore di conflitto d'interessi (Soru) contro il cattivo. In cambio della concessione da parte del sovrano di qualche riserva indiana, di un piccolo statuto albertino in materia di sindacato o televisioni, e ancor di più in cambio della sopravvivenza del centrosinistra come ceto politico. Il tempo di questi giochi da seconda repubblica è ora scaduto. I cittadini chiedono che la politica non si occupi della propria sopravvivenza ma della loro, minacciata dalla crisi.


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martedì 3 marzo 2009

Rinasceranno a COSTO ZERO le 6 circoscrizioni per una città sempre più partecipata‏

Finalmente ce l’abbiamo fatta!!!!!!! Rinasceranno a COSTO ZERO le 6 circoscrizione per offrire una città sempre più partecipata.

Il ripristino delle Circoscrizioni (d’ora in poi si chiameranno Consigli Territoriali di Partecipazione) è un risultato importante ottenuto attraverso un percorso lungo di condivisione, con tutte le forze politiche consiliari, iniziato ad inizio dicembre e concluso dopo 12 sedute di commissione. E’ Stato votato da 7 gruppi consiliari su 8 e da 28 consiglieri su 40. Una proposta voluta da tutti eccetto che dal PDL che prevedeva 4 circoscrizioni formate da 10 consiglieri comunali e 20 rappresentanti dei cittadini.
Si è tentato fino alla fine (e devo dire di averci tentato veramente fino all’ultimo secondo) a trovare un punto di caduta con i collegi del PDL…ma non ritenevamo corretto accettare la presenza dei consiglieri comunali all’interno delle Circoscrizioni. Sarebbe stato come se i controllori fossero anche i controllati. Un caos che la città non avrebbe capito.

I consiglieri comunali verranno scelti tramite elezioni di secondo grado (i seggi saranno calcolati con il metodo D’Hondt delle liste al primo turno delle consultazioni elettorali del 2008), ossia ogni gruppo consiliare presenterà un elenco di consiglieri territoriali all’approvazione dell’assemblea consiliare. Questa nuova idea di decentramento è solo il primo passo di un percorso che entro la fine della legislatura vedrà nascere nuove forme di partecipazione: URP decentrati, un’urbanistica decentrata e partecipata, il decentramento digitale con punti di informazione e di servizi informatizzati in ogni circoscrizione.

Leggo con particolare dispiacere che il PDL avrebbe in mente di non partecipare alla nomina dei futuri consiglieri territoriali. Questo secondo me sarebbe un grave errore di valutazione, in quanto l’obiettivo primario di chi ha votato la nostra proposta è quello di aprire alla cittadinanza tutta, indipendentemente da schieramento di appartenza e colore politico. Le circoscrizioni erano e restano un grande strumento di democrazia e ci dispiace che sia stato il governo Prodi a volerle abolire seguendo l’onda “dei costi della Politica”. Ma mi domando (e lo faccio perché le nuove Circoscrizioni saranno a costo zero) ma sono questi i veri costi della Politica da eliminare? Io credo proprio di noi….

Un ultima nota rispetto alle parole lette ieri sulla Nazione da parte del Consigliere Garzella che si chiedeva come mai il presidente della Commissione (cioè io) non avesse protestato rispetto ad un emendamento che il PDL nelle parole della Consigliera Paoletti ha definito “un azione liberticida”. Innanzitutto sono preoccupato di come si strumentalizzino degli atti e dei percorsi amministrativi che hanno avuto una grande trasparenza. Ricordo che sono state effettuate 12 riunioni di commissione su questo tema e che, cosi come in ogni iter assembleare si è definito un termine ultimo entro cui presentare gli emendamenti da sottoporre al Consiglio. Il termine ultimo era fissato (in accordo con tutti i gruppi consiliari) il Mercoledi 25 Febbraio (l’ultima commissione si è svolta martedi 24). L’emendamento è stato presentato proprio l’ultimo giorno utile e quindi non è stato possibile valutarlo dalla Commissione. Nel merito dell’emendamento credo invece che non sia cosi anticostituzionale (ma almeno si conoscono i termini che si utilizzano..mi domando???) ma anzi serve, nel caso di difficoltà (dimissioni di consiglieri, etc) a mantenere inalterato il numero di consiglieri e quindi rendere ottimali le funzionalità dell’organo stesso. Spero comunque che il PDL, capisca da solo, che non partecipare alle Circoscrizioni lederebbe solo il diritto di una parte dei cittadini di partecipare alla vita democratica della città.



Antonio


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