domenica 22 marzo 2009

Problemi difficili, soluzioni incerte…..

Da alcuni mesi la politica sanitaria per la tutela della salute dei membri di una comunità politica è sotto pressione. Non solo in Italia, per la verità. Basti pensare al tentativo dell’amministrazione Obama, per una riforma sanitaria estesa a tutti i cittadini statunitensi, ovvero ai sistemi di welfare europei che hanno sempre meno risorse per garantire i diritti sociali in modo universalistico ai loro cittadini. Per di più, in periodi di vacche magre, come quello attuale, il razionamento e la scelta delle priorità su chi e che cosa curare sono all’ordine del giorno.Tuttavia, in Italia, da alcuni mesi, dal caso Englaro alle cure mediche per i clandestini presenti sul territorio italiano pongono riflessioni in ordine alla definizione del diritto alla salute. Non entriamo in questa sede nel merito delle dichiarazioni del papa sull’Aids e i metodi più efficaci per debellarla….
Nell’assetto della futura “Italia federale”, per quanto riguarda le regioni, le funzioni fondamentali concernenti sanità, assistenza, istruzione e tutti gli altri livelli essenziali delle prestazioni (Lep) sui diritti civili e sociali, saranno calcolati attraverso una perequazione al 100% sui costi standard e non più sulla base della spesa storica. Nella sanità si terrà conto in ogni caso dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) che devono essere garantiti, nonché dei dettami dell'art.32 della Costituzione.
Ora, l’esame alla Camera del Ddl sulla Sicurezza, già approvato al Senato (al di là dei tatticismi di alcuni politici del centrodestra in vista del nascente Pdl), volto a sopprimere il comma 5 (“l’accesso alle strutture sanitarie, sia ospedaliere, sia territoriali, da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all'autorità, salvo i casi in cui sia obbligatorio il referto, a parità di condizioni con il cittadino italiano”) dell’articolo 35 del Decreto Legislativo 286 del 1998, Testo Unico sull’immigrazione, che sancisce il divieto di “segnalazione alle autorità”, apre la delicata questione relativa alla segnalazione dei clandestini che si presentano al pronto soccorso. La norma in discussione stabilisce, infatti, che il medico possa segnalare alle autorità chi non e' in regola, prevedendo tuttavia che non ci sia alcun obbligo. Rimandando la decisione alla libertà di coscienza di ogni singolo medico, la discrezionalità o meno dell’assistenza sanitaria comporta una maggior incertezza e potrebbe compromettere la fiducia e il rapporto di ‘confidenzialità’ tra istituzione sanitaria, medico curante, paziente, con conseguenze negative dal punto di vista della salute intesa come interesse della collettività, oltre che come diritto individuale (art.32 Cost.).
A tal proposito, il dibattito parlamentare in ordine al pacchetto sicurezza (Ddl 733), in generale pone, anche per le politiche sanitarie, una questione di fondo, vale a dire che il tema cittadinanza sanitaria per gli immigrati non è solo un problema giuridico.
Per l’immigrato la difficoltà di accesso alle strutture sanitarie del paese ospitante è, prima ancora che un problema di carattere etico-giuridico circa la legittimità del diritto alla salute e all’assistenza sanitaria, un problema di carattere culturale e psicologico che rischia di aumentare il disagio esistenziale (fragilità, insicurezza, precarietà) dovuto allo sradicamento dai propri valori, tradizioni e comunità di riferimento. Come trattare allora, dal punto di vista della pretesa a trattamenti sanitari, individui e gruppi sociali non appartenenti alla comunità politica? Lo status di “cittadino”, contrapposto a quello di “straniero” influenza fortemente la piena tutela giuridica di un diritto. Non entriamo qui nel merito di quale sia la nozione di persona cui facciamo riferimento: se quella di cittadino membro di una collettività, per cui l’individuo potrà godere di certi benefici e sostenere alcuni costi, oppure quella di individuo che esige il riconoscimento della propria sfera privata autonoma rispetto alla sfera cui il potere politico è indirizzato a interferire. E’ opportuno riconoscere che, anche nelle democrazie occidentali, l’appartenenza dell’individuo a un determinato ordinamento politico lo legittima a una maggiore protezione giuridica (diritti di cittadinanza in senso lato) di colui che non gode di tale status.
Al di là dei buoni propositi e affermazioni di principio (dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino della Rivoluzione Francese del 1789, alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo approvata il 10 dicembre 1948 dall’Assemblea Generale dell’Onu, alla Conferenza dell’Oms tenutasi ad Alma Ata nel 1978 e, infine, alla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia approvata nel 1979 sempre dall’Onu, nonché ad altre carte e documenti internazionali), parlare di diritti umani intesi come diritti morali universali – che prescindono dunque da razza, sesso, religione, nazionalità e posizione sociale – pur esprimendo un ideale di cittadinanza universale in grado di riconoscere i diritti degli individui in quanto tali, comporta che i singoli stati non siano solo d’accordo in termini di dichiarazioni e raccomandazioni “prescrittive”, ma che da principi morali universali discendano politiche pubbliche antidiscriminatorie.
Certo è che il dibattito di queste ultime settimane ripropone il problema di come si deve comportare lo Stato di fronte a un immigrato extracomunitario presente sul territorio italiano in quanto clandestino. Per ora non ci resta che concordare con Zincone [1991: 435] laddove, con riferimento ad un’affermazione di Brubaker - «L’uguaglianza inerente all’idea di cittadinanza è un’eguaglianza limitata. È necessariamente ristretta ai cittadini. La piena uguaglianza tra cittadini e non cittadini renderebbe la cittadinanza priva di significato» [Brubaker 1989: 17] - sostiene che «l’accoglienza assoluta e indiscriminata non è un prezzo necessario da pagare per soddisfare criteri di uguaglianza».

Ringrazio per gli spunti l’amico Nicola Pasini e mi scuso con lui per non essere presente a Milano all’incontro degli ex alumni della Scuola di Formazione Politica CFP

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