martedì 10 marzo 2009

Sicurezza: i cittadini partecipino ma non con le ronde‏

Credo sia importante una premessa, anzi, la ritengo necessaria, perché quando si affrontano temi come quello della sicurezza bisogna stare molto attenti alle parole che si usano e ai concetti cui esse si legano. Oggi si tende a fare molta confusione tra legalità, sicurezza, degrado, decoro urbano. Sono parole che usano tutti, ma appendendo a esse concetti diversi.
Sono per esempio convinto che la grande domanda di sicurezza che da tutto il paese è emersa prepotentemente in questi mesi sia almeno in parte una domanda di città meno degradate, più vivibili, direi addirittura anche più serene.
E indubbiamente ci sarebbe molto da dire, su questa domanda, che, mi pare, è stata anche molto manipolata, strumentalizzata, usata per interessi più o meno trasparenti.

C'è forse un paese più insicuro rispetto ad anni fa, ma c’è sicuramente un paese che si percepisce più insicuro, come ci dimostrano molte statistiche sul crimine e sulla percezione del crimine in Italia. Anche la nostra Relazione 2008 sullo stato di insicurezza, solo per fare un esempio, conferma che non esiste una stretta correlazione tra i dati statistici ufficiali sulla criminalità e la percezione della sicurezza dei cittadini.

In Toscana, a fronte di un indubbio trend di aumento delle denunce, i cittadini continuano a sentirsi relativamente sicuri, o almeno più sicuri che altrove, tanto che ci collochiamo all'undicesimo posto nella graduatoria regionale per percezione dell'insicurezza.

Inutile ovviamente manifestare soddisfazione per un dato come questo, che comunque non può nascondere il fatto che anche da noi è in crescita l'insicurezza e con essa quello che chiamerei un sentimento di vulnerabilità. E di tutto questo va tenuto conto perché rappresenta un aspetto importante della qualità della vita di tutti noi.

Questa domanda di sicurezza rappresenta una domanda reale, importante. Le istituzioni non vi si possono sottrarre. I cittadini, in effetti, chiedono di più della semplice sicurezza, chiedono di poter uscire tranquillamente la sera, chiedono di poter vivere serenamente nelle loro comunità. Chiedono insomma, un diritto alla tranquillità o serenità, che è un concetto bellissimo, che mi pare inquadri tutti gli altri che ho menzionato e che implichi un impegno davvero trasversale, che va dalle politiche di prevenzione per la sicurezza fino alle politiche sociali, alle politiche di pianificazione urbanistica e alle politiche dei tempi della città. Per arrivare a toccare gli aspetti più quotidiani dell'impegno di un'amministrazione: per esempio come si cura un giardino pubblico o come si regola la circolazione su una strada.

Questo concetto di serenità esige un impegno che può essere assai complesso per le molte competenze che chiama in causa, eppure rappresenta l'unica alternativa a scorciatoie che non portano da nessuna parte, se non forse all'individuazione di capri espiatori e alla demagogia di chi invoca le maniere forti.

La premessa è stata lunga ma mi sembrava doverosa, perché in realtà rappresenta il background che sta dietro la nostra proposta di legge “in materia di contrasto al degrado e di tutela della sicurezza urbana” su cui da mesi gli uffici regionali stanno lavorando.

A problemi complessi, insomma, bisogna attrezzarsi con risposte complesse, e in primo luogo con una piena assunzione di responsabilità. La sicurezza, intesa nel suo significato più ampio, diventa uno degli impegni del governo locale, assumendo un rilievo nella strategia dell'amministrazione della cosa pubblica che non le era propria fino alla fine degli anni Novanta.

Molti enti locali si sono effettivamente mossi, raccogliendo anche un “invito alla creatività” che il ministro degli interni a suo tempo rivolse ai sindaci. Ne è venuto fuori qualcosa che, a mio parere, ha a che vedere più con la complicazione che con la complessità. Una valanga di provvedimenti assunti dai sindaci in qualità di ufficiali del governo, e già qui ci sarebbe molto da dire; un profluvio di ordinanze, più o meno accettabili, più o meno comprensibili in una logica di emergenza, ma che hanno creato una situazione estremamente caotica, frammentaria, incerta, con forti disomogeneità anche nello spazio di pochi chilometri. Senza dimenticare che resta tutta da dimostrare la possibilità di contrastare situazioni urbane di degrado a colpi di ordinanze.

Con la nostra legge intendiamo rilanciare una piena assunzione di responsabilità da parte del governo regionale, quale soggetto che può coordinare, omogeneizzare, armonizzare le scelte sui comportamenti rilevanti, sui provvedimenti da adottare, sulle sanzioni da contemplare. Tutto questo fornendo una disciplina generale nella quale si possano inserire o valorizzare provvedimenti delle singole amministrazioni. Con il nostro lavoro stiamo individuando i comportamenti rilevanti ai fini dell'ordinato svolgersi della vita delle comunità locali che possono essere disciplinati dalle amministrazioni comunali, distinguendo bene tra concetti come la convivenza civile, la vivibilità, l'igiene e il pubblico decoro, la quiete e la tranquillità delle persone.

Non solo. Mi pare importante sottolineare che accanto all'individuazione dei comportamenti rilevanti abbiamo prodotto un’attenta analisi sugli spazi pubblici, come premessa a interventi che ci consentano di sottrarli al degrado fisico.

Tutto questo con la consapevolezza che occuparsi del disegno urbano, cioè dell’organizzazione degli spazi, dell’impianto degli edifici, dell’uso dei piani terra e dei piani superiori, della struttura delle aree verdi, del tracciato delle strade, dell’illuminazione o dell'ubicazione delle fermate del trasporto pubblico, rende le nostre città più vivibili e concorre ad aumentare la fiducia dei cittadini, mentre un disegno urbano mal concepito può produrre spazi vuoti, ambienti squallidi, generare paura e attrarre comportamenti incivili e atti criminali.

In questo paese troppe volte negli ultimi mesi abbiamo sentito invocare l'uso dell'esercito o delle forze dell'ordine, come soluzioni a problemi che richiedevano risposte ben più articolate e complesse. Allo stesso modo troppo spesso abbiamo sentito di cittadini armati, di ronde, di appelli all'autodifesa, di tentativi di far passare l'idea di punizioni draconiane o esemplari...

Io penso invece che ci sia bisogno di molto buon senso, di equilibrio. Per capire, a esempio, che non c'è bisogno di pene esemplari, ma semmai di pene certe, cioè di una giustizia che funzioni, in grado di assolvere le sue funzioni con tempi accettabili; che non c'è bisogno di presidi militari nelle nostre strade, ma semmai di risorse e mezzi per le forze dell'ordine che devono essere messe in grado di lavorare e valorizzate nella loro professionalità; e che i nostri quartieri, le nostre periferie, potranno diventare davvero sicure solo quando saranno anche più vivibili.

Quando parlavo di scorciatoie mi riferivo anche ad alcuni aspetti del recente pacchetto sicurezza del governo, con disposizioni che temo che non solo possano non centrare gli obiettivi proclamati ma addirittura produrre situazioni più confuse e problematiche.

Questo, anche tenendo fuori i contenuti a mio avviso meno condivisibili: a partire dalla possibilità di denuncia degli immigrati irregolari da parte dei medici, norma che ha sollevato una forte reazione da parte dello stesso ordine professionale chiamato a tutelare i principi deontologici e che, mi pare, può creare notevoli problemi anche dal punto di vista della salute pubblica.

Ma non si può non essere preoccupati anche per tutto quanto si sta dicendo e facendo oggi sulle ronde. Bene ha fatto il prefetto di Firenze nei giorni scorsi a fermare il ribollire di propositi e iniziative con un invito alla cautela, in attesa che arrivino i regolamenti attuativi aiutandoci magari a capire meglio cosa sono o cosa dovrebbero essere, nelle intenzioni del governo, soggetti che, a sentire le varie dichiarazioni, sono ronde che non si vogliono nemmeno chiamare ronde.

La situazione, insomma, è molto confusa, come purtroppo accade sempre quando si cede alla lusinga degli slogan di facile presa.

Io penso che la strada da battere sia un'altra. Quella di forze di polizia più preparate, più addestrate, più motivate. E anche quella di un nuovo modello di polizia, basata sulla capacità di legarsi davvero ai territori e ai cittadini: e penso ai modelli di polizia di comunità o di prossimità su cui il governo regionale della Toscana sta lavorando, andando a scuola, per così dire, da paesi che da tempo vantano questa esperienza, come il Canada.

E' in questo modello che, a mio parere, sta anche il senso e la possibilità di una partecipazione e di una collaborazione dei cittadini al bene comune della sicurezza. Che è cosa ben diversa dalle ronde che, al momento, mi sembra siano qualcosa di poco pensato e di molto improvvisato.

In ogni caso penso che sia importante che anche su questo la Toscana non vada in ordine sparso. Penso che sia davvero necessario che dalla nostra regione emerga una risposta comune e coerente, ispirata a un modello condiviso di relazioni tra forse di polizia, istituzioni e cittadini: qualcosa che non sia solo il frutto di tentazioni demagogiche, ma che semmai valorizzi la nostra esperienza e la forza delle nostre comunità.

Per questo sarà bene che le istituzioni locali si confrontino e si parlino, a tutti i livelli. E su questo terreno la Regione Toscana intende fare la sua parte, non sottrarsi magari usando la tattica dello struzzo e nascondendosi dietro ragionamenti sulla mancanza di competenze dirette. Per questo fin dai prossimi giorni proporrò un incontro a tutti i sindaci dei capoluoghi di provincia e comunque delle città più sensibili alle questioni della sicurezza e della vivibilità, per un confronto a tutto campo su queste tematiche.

Con la consapevolezza, ancora una volta, che non ci sono risposte precostituite, ma solo un gran bisogno di fare un percorso quanto più possibile condiviso, in cui ognuno faccia la sua parte.

Federico Gelli
Vice Presidente della Regione Toscana con delega al coordinamento delle politiche per la legalità e la sicurezza dei cittadini



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