venerdì 3 luglio 2009

Il punto: Pd, tertium (non) datur

Concordo appieno con le posizioni degli amici del CFP!!! E sicuramente questi sspunti mi saranno d’aiuto nella mia trasferta romana da LIBERI E DEMOCRATICI

Vi terrò informati

Un abbraccio

Antonio


Uno, due e tre. Anzi, no: uno, due e basta. Tertium non datur. Non si sfugge: o il Pd di Franceschini o il Pd di Bersani, punto. E chi non è contento si adegua o sta a casa. Ma è proprio così? Quello che manca è lo spazio politico tra i due “giganti” pigliatutto o è solo mancato l’uomo, appunto il terzo uomo (o donna)? Se le poltrone da primo cittadino non si sono rivelate trampolino sufficiente per dare l’assalto al cielo democratico, ancor meno le grida ambiziose della nebulosa dei quarantenni sono riuscite a produrre uno straccio di contesa al vertice del partito. E così, salvo sorprese, niente terzo - anche se la partita a due è già da considerare un rilevante passo evolutivo se paragonato alle età primitive delle primarie secche, plebiscitarie, delle primarie con vincitore già assegnato.

Eppure, non è senza rammarico che prendiamo congedo dalla possibilità di un acrobatico passaggio a nord-ovest che ridefinisse i confini di un paradigma democratico confusamente dibattuto tra l’ansia di dimostrare di essersi adeguato al nuovo e la reticenza ad abbandonare anguste radici.

Perché, certo mancherà l’uomo o la donna ma non lo spazio politico. Forse il problema è dovuto dal fatto che questo spazio non è di così facile decifrazione, perché non si tratta esattamente di un altrove, di una terzietà assoluta, quanto piuttosto di una sorta di terza dimensione del discorso politico che dovrebbe attraversare gli attuali progetti proposti da Bersani e Franceschini come una diagonale, ovvero come una linea di fuga in grado di essere tangente a questi progetti là dove essi compiono il massimo sforzo d’innovazione senza tuttavia riuscire ad essere pienamente convincenti perché l’innovazione che essi intravedono è come una sorta di nuovo orizzonte tuttavia ancora scorto attraverso vecchie lenti.

In ogni caso, il linguaggio – in quanto rivelatore dell’idea – è sufficiente a dimostrare che per quanto ci si sforzi di declinare una proposta politica secondo nuove istanze, il pensiero ovvero i concetti che ne sono il motore, restano inesorabilmente ancorati al passato. E questo vale per tutti i temi: dalla sfida ambientale al welfare, dal paradigma energetico all’universo dei lavori, dalla riscrittura della grammatica finanziaria alla sostenibilità di un assetto internazionale acefalo. I problemi sono nuovi, l’approccio no. Se pensare il futuro, immaginarlo, prefigurarlo, tallonarlo, è da sempre la più ardua impresa per l’uomo, agire-nel-presente-per-il-futuro è la sfida propria del politico.

Dinnanzi a questa ennesima occasione di ripensamento che il Partito democratico è obbligato ad affrontare, il nostro augurio è che il tributo che andrà pagato al vecchio non sia tale da mortificare del tutto quelle scintille di nuovo linguaggio, ovvero di nuovo pensiero, e di nuove volontà che già oggi sono un patrimonio inestimabile non solo del Partito democratico ma del paese intero. (E non c’è bisogno di sottolineare quanto il Pd, e l’Italia, abbiano terribilmente bisogno di questa nuova linfa).

Centro di Formazione Politica

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