venerdì 14 novembre 2008

OBAMA IL PRESIDENTE DEI GIOVANI‏


Si è molto scritto che la vittoria di Obama è stata facilitata da un grande entusiasmo giovanile, ma non si è ancora approfondito quale sia stato esattamente il contributo dei giovani al successo della nuova coalizione democratica. Partiamo da questo dato: il 66% dei votanti fra i 18 e i 29 anni si sono espressi per Barack Obama. Questo risultato chiude un lungo periodo in cui la partecipazione al voto dei giovani era stata molto bassa: appena il 37% nel 1996, il 41% nel 2000; già nel 2004 c’era stato un aumento sostanziale (48%) e la Tufts University stima che quest’anno si è finalmente superato il 50%, toccando il 52% (si noti che anche in questo caso, il distacco dalla partecipazione al voto globale dell’elettorato, circa il 62%, rimane molto consistente).
L’importanza numerica del plebiscito per Obama è semplice: questa tranche di età costituiva il 18% dei votanti, quindi circa 23 milioni di elettori (3.400.000 più che nel 2004). Obama ha ottenuto il suffragio di circa due terzi di loro, quindi 15,2 milioni, mentre a McCain sono andati gli altri 7,8 milioni, con un margine di 7,4 milioni di voti a favore del candidato democratico, corrispondente quasi esattamente alla differenza complessiva nel voto tra Obama e McCain (8 milioni di voti). Questo ci dice che senza i giovani il candidato democratico avrebbe avuto una grande difficoltà ad essere eletto; i margini di vittoria sarebbero semplicemente svaniti negli stati dove ha prevalso di stretta misura (Florida, Ohio, North Carolina, Indiana, Virginia). Questi cinque stati da soli gli avrebbero tolto 86 voti elettorali, riducendo la sua maggioranza da un ampio vantaggio (365 a 162) a un ben più modesto 279-259, o meglio 278-260 perché la seconda circoscrizione del Nebraska, dove pure Obama ha prevalso, conquistando uno dei cinque voti elettorali dello stato, gli sarebbe ugualmente sfuggita.
Un altro elemento che riguarda il contributo dei giovani alla vittoria del candidato democratico è il fatto che il risultato finale delle elezioni americane dipende fortemente da quanto i due partiti maggiori riescono a mobilitare gli elettori “pigri” e portarli a votare: l’iscrizione alle liste elettorali non è automatica e la percentuale di votanti sulla popolazione adulta ha superato il 60% solo nel 2004 e nel 2008. Questa mobilitazione, che avviene attraverso la propaganda porta a porta (canvassing) e attraverso telefonate agli elettori, ha coinvolto quest’anno milioni di volontari, in gran parte giovani. Ora, l’effetto di una superiore mobilitazione sul territorio è stato ampiamente analizzato dagli studiosi e sappiamo che, in tutti gli 11 stati “incerti” della vigilia dove ha poi vinto Obama, i contatti con i cittadini da parte della campagna di Obama sono stati più frequenti e intensi di quelli avuti dalla campagna di McCain.
Non solo: dove i collaboratori di Obama e McCain sono stati ugualmente efficienti nel contattare i potenziali elettori, nel voto Obama ha ottenuto circa 3 punti percentuali in meno di quanto gli attribuissero i sondaggi, probabilmente perché l’elettorato democratico è composto prevalentemente da giovani, minoranze etniche e cittadini a basso reddito, tutti gruppi che votano meno degli anziani, dei bianchi e dei cittadini di reddito medio-alto, se non stimolati da un’azione capillare sul territorio.
Tradotta in cifre, questa analisi significa che, senza il contributo dei giovani volontari, Obama non avrebbe probabilmente vinto neppure in stati come Colorado, Nevada e Pennsylvania, che sono quelli che gli hanno permesso di costruire la sua maggioranza nel collegio elettorale. Se dalla risicata maggioranza di 278 voti elettorali che avrebbe ottenuto senza Florida, Ohio, North Carolina, Indiana, Virginia togliamo inoltre Colorado e Nevada (14 voti) otteniamo 264 voti, contro i 274 a McCain che sarebbe diventato presidente.

Antonio

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