Innanzitutto voglio dire che discutere fa sempre bene: fa molto meno bene – e anzi fa un danno al partito – chi alle sollecitazioni reagisce con una levata di scudi, chiedendo come al solito di non disturbare il manovratore. E poiché io a questo partito intendo continuare a credere, con la stessa convinzione che mi ha fatto essere uno dei suoi fondatori, credo che ci sia necessità di discutere molto e bene.
Sono anche convinto che Matteo Renzi abbia messo l’indice nella piaga. Risultati elettorali, sondaggi, insoddisfazione crescente dei nostri militanti e del nostro elettorato non si sintonizzano bene con una classe dirigente sostanzialmente bloccata, da almeno 15 anni ferma alle stesse figure di riferimento dei partiti fondatori. Dire questo non significa essere tacciati di giovanilismo, perché qui non si tratta assolutamente di una questione anagrafica. Significa piuttosto garantire decisione dal basso, ricambio, trasparenza delle scelte.
E mi viene in mente: in questi anni abbiamo giustamente guardato all’America di Obama. Ma Obama ha vinto come un outsider, contro ogni designazione dei vertici del partito. Ed è con lui che i democratici sono riusciti a diventare forza di governo, non più inchiodati all’opposizione.
Proprio per questo credo che il Pd sia atteso a un banco di prova decisivo. Presto, perché ritengo che presto ci saranno le elezioni. E prima ancora delle elezioni conterà come ci si arriverà. Cosa farà il nostro partito: sceglierà le primarie per la selezione dei candidati, come è nel suo Dna, oppure sceglieranno i soliti capicorrente nelle solite stanze, magari subendo decisioni da Roma?
Sono anche convinto che Matteo Renzi abbia messo l’indice nella piaga. Risultati elettorali, sondaggi, insoddisfazione crescente dei nostri militanti e del nostro elettorato non si sintonizzano bene con una classe dirigente sostanzialmente bloccata, da almeno 15 anni ferma alle stesse figure di riferimento dei partiti fondatori. Dire questo non significa essere tacciati di giovanilismo, perché qui non si tratta assolutamente di una questione anagrafica. Significa piuttosto garantire decisione dal basso, ricambio, trasparenza delle scelte.
E mi viene in mente: in questi anni abbiamo giustamente guardato all’America di Obama. Ma Obama ha vinto come un outsider, contro ogni designazione dei vertici del partito. Ed è con lui che i democratici sono riusciti a diventare forza di governo, non più inchiodati all’opposizione.
Proprio per questo credo che il Pd sia atteso a un banco di prova decisivo. Presto, perché ritengo che presto ci saranno le elezioni. E prima ancora delle elezioni conterà come ci si arriverà. Cosa farà il nostro partito: sceglierà le primarie per la selezione dei candidati, come è nel suo Dna, oppure sceglieranno i soliti capicorrente nelle solite stanze, magari subendo decisioni da Roma?
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