venerdì 31 ottobre 2008

Aspettando il 4 novembre ed incrociando le dita: una settimana cruciale‏

Dalla prossima settimana, la sfida sarà capire quali saranno le nuove prospettive per il futuro degli Stati Uniti. Qualunque sarà l’esito del voto di martedì prossimo, se l’America e il mondo non sono più gli stessi dopo l’11 settembre, occorre vedere come – prendendo quale direzione - gli Usa usciranno dalla catastrofe finanziaria. “Nulla è ancora deciso”, ammonisce Karl Rove – geniale stratega del doppio successo elettorale di George W. Bush. Infatti, alla vigilia di un voto cruciale per le sorti della supremazia Usa, in America si aggira lo spettro di un clamoroso rovesciamento dei pronostici: e se non fosse Obama ad entrare nello Studio Ovale? Il divario tra voto popolare e grandi elettori, le pieghe dei meccanismi elettorali, i timori che qualcosa sia sfuggito ai sondaggi o che qualcosa accada nelle ultime ore, tengono col fiato sospeso i quartier generali di entrambi i candidati.

Nel frattempo, venendo a casa nostra, in questi giorni il mondo della scuola e dell’università è in subbuglio. Cosa sta accadendo? La rabbia e il malessere del mondo dell’istruzione vengono da lontano; giacciono perennemente sotto la cenere salvo infiammarsi alla prima occasione. Per questo, si ha l’impressione che i contenuti reali dei provvedimenti legislativi non esauriscano le ragioni della protesta, che si alimenta anche del suo intrinseco potere catartico. In una simile situazione, la prima sfida è quella di stare al concreto. Anche se non è facile quando la confusione regna sovrana. Circa la scuola, non è dato sapere quali saranno gli effetti della conversione del decreto 137, noto come decreto Gelmini. Mentre, nelle università, dopo l’approvazione della legge 133/2008, si sta andando incontro a tagli indifferenziati a prescindere dai diversi comportamenti gestionali, dalla qualità della didattica e della ricerca. Provando a semplificare: dati vincoli di bilancio oggettivi, si può avere un’istruzione migliore con minori risorse? O, se si preferisce: l’ingente impiego di risorse fino ad oggi stanziate, ha garantito un’istruzione di alta qualità? Purtroppo, tutti i ranking mondiali dicono di no. Ecco allora già due vincoli precisi: è necessario risparmiare ed è necessario riformare scuola e università. Si valutino senza pregiudizi i punti qualificanti del ddl di riforma dell’università che sarà pronto la settimana prossima, così come riportato sulla Stampa di ieri: 1) Blocco dei concorsi che rischiano di fermare il turn-over per anni; 2) Chiusura della sedi universitarie periferiche e riordino dei corsi inutili; 3) Gestione finanziaria responsabile (ad es., la spesa per il personale non potrà superare il 90%); 4) Possibilità e non obbligo per gli atenei di trasformarsi in fondazioni; 5) Nuovi criteri per premiare le università migliori e quindi distribuire i fondi di conseguenza. E’ forse questo un attentato al futuro dei giovani studenti? Non lo sarebbe, al contrario, il lasciare le cose come stanno o l’innalzare a feticcio livelli di spesa che non hanno mai coinciso con elevati standard di qualità e di opportunità? Tutto è perfettibile, ma questi elementi sembrano una base ragionevole per aggredire i problemi dell’università introducendo nuovi cardini: responsabilità, merito, competizione. Certamente, ciò che è davvero imputabile al ministro Gelmini – ma è una scelta politica precisa che il ministro condivide con il resto della maggioranza - è un errore di metodo più che di merito: il malcelato disprezzo nei confronti di tutti gli attori dell'universo scolastico e universitario si è tradotto infatti nel mancato coinvolgimento degli stessi in un confronto – che avrebbe potuto anche essere aspro e in tempi certi, ma non pregiudiziale. Chi semina vento…

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