venerdì 5 marzo 2010

Lo spinoso pateracchio delle liste regionali

C'è poco da aggiungere al commento su wwww.formazionepolitica.org... è giusto che sia consentito a tutti di partecipare ma è necessario che le regole vengano rispettate da ogni protagonista, che si chiami PDL, PD o pincopallo.
E poi la leggina ad hoc (anche se sembra non si possa fare) è uno scandalo... tutto il contrario della decomcrazia invocata da alcuni benpensanti del PDL!

Un abbraccio
Antonio

Quando la realtà supera, anzi travolge, l’immaginazione: et voilà il grande pasticcio delle liste depennate dalle prossime elezioni regionali. Dunque, un’algida campagna elettorale, dominata dalle meccaniche alchimie delle candidature, è tornata sotto i riflettori dell’opinione pubblica, seppur non per i contenuti posti al centro del contendere quanto per il caos che ha trascinato burocrazia, giustizia ed elettori nel totale subbuglio. Peraltro, i colpi di scena potrebbero non essere finiti, anzi si è solo all’inizio di un lungo braccio di ferro dall’esito sconosciuto. Tutto ebbe inizio con la mancata presentazione entro le scadenze temporali della lista del PdL nel Lazio, cui seguirono l’esclusione del listino di Renata Polverini e, qualche giorno dopo, di quello formigoniano in Lombardia, entrambi per vizi formali. Attualmente, l’ex leader della UGL ha visto accolto il proprio ricorso cosicché la sua candidatura a governatore del Lazio è tornata in gioco, mentre non sembrano esserci margini per la lista pidiellina collegata: un conto, infatti, è sanare imprecisioni puramente burocratiche riconducibili a timbri non propriamente apposti, un conto è ammettere una lista non presentata entro il termine di legge. In Lombardia, invece, la corsa al Pirellone sembrava una partita elettoralmente già chiusa, ma l’estromissione di Formigoni, motivata da un numero di firme non correttamente autenticate, comporta la susseguente decadenza anche delle liste di PdL e Lega Nord, con l’effetto di restringere il quadro essenzialmente al voto per Penati o Pezzotta. Si attendono quindi i ricorsi al Tar che, in zona Cesarini, potrebbe riammettere gli esclusi; eppure, sull’attuale governatore lombardo pesa persino l’incognita della Legge 165/2004, art.2, che fissa a due il limite massimo di mandati consecutivi a Presidente di Regione: se tale normativa fosse interpretata in senso retroattivo, sia Formigoni, sia Errani in Emilia-Romagna – entrambi alla ricerca del terzo mandato – potrebbero vedere la propria eventuale vittoria revocata in caso di ricorso post-elettorale, con una destituzione postuma che scatenerebbe un altro temibile cortocircuito nei già burrascosi rapporti fra magistratura e politica. La temperatura sta inoltre salendo vorticosamente come dimostrano alcune dichiarazioni al vetriolo che denunciano l’esistenza di un vulnus democratico, di un complotto ai danni di una parte politica, e che si aggrappano a qualunque mezzo pur di sanare le “amputazioni” subite dal centrodestra. Nella totale convinzione che proclami estremisti e destabilizzanti vadano respinti con totale fermezza, che i reiterati “al-lupo-al-lupo” abbiano effetti controproducenti, e che la competizione democratica certo preveda l’effettiva possibilità di scelta fra alternative politiche, da più parti si invoca anche un sincero ed umile mea culpa da parte di un centrodestra che in alcuni contesti ha probabilmente agito in modo superficiale e ingenuo, rivelando anche un’inaspettata fragilità organizzativa interna, un lusso che non si può permettere nemmeno il primo partito italiano in termini di voti. Sicuramente, hanno pesato le rivalità intestine per conquistare un posto al sole in Regione in qualità di consigliere, un ruolo che conferisce certo prestigio personale, ma che è politicamente poco incisivo se si considera come le assemblee regionali siano perlopiù camere di ratifica delle indicazioni del governatore, indiscusso centro di autorità. L’irritazione del Premier è solo lontanamente misurabile dopo avere constatato l’imbarazzante inefficienza dei quadri locali del suo partito, il malessere di alcuni esponenti pidiellini contro i leghisti accusati di scarsa solidarietà (almeno fino a quando il problema liste era circoscritto al Lazio) e lo frattura ormai palese con Fini dopo che il Presidente della Camera ha apertamente dichiarato il suo malumore per lo stato attuale del PdL. Di sicuro il redde rationem tra i due big del partito è solo rinviato al dopo-elezioni, ma nel frattempo il Cavaliere si affannerà nel trovare un rimedio politico all’impasse attuale, e le strade sono diverse: da un rinvio tout court della consultazione come chiesto dai Radicali, ad un provvedimento di legge approvato dalle Camere, alla decretazione d’urgenza. Su quest’ultimo punto, lo stesso Ministro dell’Intero aveva tuttavia già precisato la sua contrarietà: non si possono cambiare le regole del gioco in corso con un decreto ad listam – si veda la compatibilità con la Legge 400/1988 – e aprire un nuovo fronte di scontro con il Colle. E benché le sirene della piazza possano trarre in inganno, scorciatoie e forzature non sono possibili: il popolo esercita la sovranità nelle forme e nei limiti della Costituzione e il rispetto della legge non è un orpello, bensì il cardine della convivenza civile.

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