lunedì 31 gennaio 2011

Sì al Federalismo ma come Patto Costituzionale e non come strumento di propaganda politica

In tanti mi hanno cercato dopo il faccia a faccia con Sala della Lega Nord sul Federalismo Fiscale. E' risultato evidente che loro non hanno interesse a sedersi al tavolo con noi. Vogliono chiudere subito questa partita ed usarla come strumentalmente per comunicare ai loro elettori il Risultato raggiungo. In questo modo si scaricano sugli Enti Locali tanti problemi e non si fa il vero federalismo fiscale, che può essere messo in campo solo come un Patto Costituzionale che chiarisca una volta per tutte le competenze e le risorse attribuite ai diversi enti.

Evitiamo l'ennesima farsa propagandistica a spese dei cittadini

Antonio

Un governo debole e privo di maggioranza parlamentare continua a scaricare sul sistema delle autonomie il peso delle proprie contraddizioni e i costi di una politica incapace di portare il sistema paese fuori dalla crisi economica e sociale. Si stanno colpendo i livelli di welfare, l’erogazione di servizi indispensabili per le proprie comunità, gli stessi meccanismi di coesione sociale garantiti in prima linea proprio dal sistema degli enti locali. Il drastico ridimensionamento deciso con la manovra finanziaria per il 2011 dei fondi a carattere sociale (-78% tra il 2008 e il 2011) rappresenta una prospettiva decisamente negativa per un paese colpito dalla peggiore crisi sociale e occupazionale dal dopoguerra. Lo stesso processo di attuazione della legge delega sul federalismo fiscale, accanto alle numerose criticità più volte evidenziate, lascia del tutto ai margini ogni riferimento ai livelli essenziali delle prestazioni sociali da garantire uniformemente su tutto il territoric nazionale. Uno dei capisaldi della riforma federalista viene del tutto ignorato dai provvedimenti del governo.

1. La Carta delle autonomie fatta a pezzi

Anche il disegno di riforma dell’ordinamento locale e la definizione delle funzioni fondamentali degli enti locali, appare abbandonato su un binario morto. Il legame tra risorse attribuite, capacità impositiva e sistema delle competenze degli enti locali è sparito dall’orizzonte per far posto a un ordinamento disegnato a brandelli, in maniera parziale e ispirato alla logica dei «costi della politica», piuttosto che a quella dell’organicità e della coerenza col disegno federalista: l’elencazione delle funzioni fondamentali indicata nel disegno di legge sull’ordinamento locale è in contraddizione con quella indicata nel fisco municipale; la previsione dell’obbligatorietà dell’esercizio associato delle funzioni dei piccoli comuni è del tutto scollegata dalla necessità di costruire un adeguato ente locale di base al quale legare crescenti poteri fiscali. È sostanzialmente ignorata ogni concreta capacità di avviare un vero governo delle aree metropolitane; la stessa sorte delle province non è messa al riparo delle insidie di un dibattito ormai solo demagogico circa la loro abrogazione. Non viene risolto a sufficienza il nodo del rapporto tra regioni e sistema dei poteri locali. Vengono infine colpiti gli istituti di democrazia decentrata, le forme di partecipazione e i livelli stessi della rappresentanza democratica nelle assemblee elettive.

2. La scatola vuota del federalismo fiscale

I decreti legislativi di attuazione del federalismo fiscale sono delle scatole ancora vuote. Essi rinviano a successivi studi ed elaborazioni che li sottraggono sostanzialmente ad ogni controllo politico e parlamentare. Gli schemi di decreti sul fisco municipale fin qui presentati contengono molte incognite e sollevano forti perplessità sulla coerenza con lo spirito e la lettera della legge delega n. 42/2009, oltre che sulla reale corrispondenza ai principi di autonomia finanziaria e impositiva. Non sono quantificate le risorse da conferire al sistema degli enti locali e non è colto il legame chiaro e indissolubile tra conferimento delle risorse, finanziamento delle funzioni del governo locale e introduzione del criterio dei fabbisogni standard. Alla base imponibile che dovrebbe costituire la fonte del prelievo fiscale è sottratta quella maggiormente caratteristica del territorio, cioè l’Ici sulla prima casa, che esigenze elettoralistiche hanno demagogicamente sottratto alla disponibilità dei comuni. Lo stesso fondo di riequilibrio altro non è che un ricettacolo centralista consegnato alla gestione del ministero dell’economia. È del tutto assente ogni riferimento al principio del beneficio e quindi della corrispondenza tra imposizione locale e servizi generali e indivisibili erogati a cittadini e imprese. Il governo ha dovuto fare i conti con i gravi limiti della proposta iniziale, evidenziati anche da Legautonomie, impegnandosi a riscrivere il decreto originale, ridimensionando il peso delle imposte sui trasferimenti in favore di una compartecipazione Irpef, rafforzando la clausola di salvaguardia per i comuni, rendendo obbligatoria l’imposta municipale secondaria. Siamo però ancora dentro un assetto della finanza locale rigido e largamente dipendente da scelte centraliste: la compartecipazione Irpef, sebbene meno sperequata rispetto all’imposizione immobiliare è pur sempre finanza derivata e fino al 2014 i sindaci continueranno ad avere le mani legate per quanto riguarda l’autonomia tributaria. Il recupero dell’esenzione dei beni ecclesiastici dall’Imposta municipale propria (inizialmente non prevista) avverrà a discapito degli immobili relativi all’esercizio di attività di impresa, arti e professioni ovvero posseduti da enti non commerciali, che non beneficeranno più della riduzione del 50% dell’Imu disposta nel testo iniziale del decreto e subiranno perciò un pesante aggravio *** rispetto all’attuale regime Iei.

3. I conti non tornano

Inoltre, come Legautonomie aveva già denunciato per prima, vengono consolidati i tagli ai trasferimenti erariali decisi con la manovra estiva e confermato il rischio di un ammanco di risorse superiore al miliardo di euro legato all’introduzione della cedolare secca sugli affitti il cui gettito verrebbe attribuito dal 2011 ai comuni. Ciò rischia di aprire una vera e propria voragine nei bilanci comunali. In termini di competenza la perdita, secondo elaborazioni confermate dagli uffici studi di Montecitorio, è pari a 525 milioni di euro nel 2011. A questa cifra va però aggiunto l’ipotetico recupero di evasione, che la Relazione tecnica del governo quantificava in ben 440 milioni di euro per il 2011.

4. La legge di stabilità: una manovra iniqua e centralista

L’approvazione della Legge di stabilità 2011 non cambia il quadro che si prospetta per gli enti locali, che l’anno venturo dovranno fare i conti con la manovra di bilancio più centralista da molti anni a questa parte. H nodo di fondo rimane la ripartizione dei sacrifici, del tutto squilibrata a danno delle autonomie territoriali. La quota parte di comuni, province e regioni è altissima: il 40% nel 2011 e il 34% nel 2012. E’ una sproporzione evidente rispetto al peso che il comparto degli enti territoriali ha sulla spesa e sul debito pubblico. Anche il decreto del ministero dell’interno con cui vengono stabiliti i criteri di ripartizione dei tagli effettuati con il decreto legge 78 conferma, attraverso la logica dei tagli lineari, il modo di procedere iniquo e distante dalla concreta realtà di questo governo. La riduzione proporzionale uguale per tutti, infatti, è in netta contraddizione con i principi della legge delega sul federalismo fiscale (finanziamento integrale in base al fabbisogno standard delle spese riconducibili alle funzioni fondamentali, premi e sanzioni in relazione alla virtuosità, ecc. poiché penalizza maggiormente gli enti con minori entrate — correnti pro-capite, in cui la finanza derivata ha un peso rilevante e svolge anche una funzione perequativa.

5. Un patto di stabilità a somma zero

Rispetto alle scelte del dl 78/2010, la principale novità introdotta dalla legge di stabilità è il nuovo Patto interno di stabilità che ripartirà diversamente i sacrifici tra i singoli enti, ma con la manovra invariata il gioco sarà a somma zero. Alcuni ci guadagneranno, altri ci perderanno. Rispetto a quello attualmente in vigore, il saldo obiettivo (sempre definito in termini di competenza mista) viene calcolato in percentuale della spesa corrente media del triennio 2006-2008. Per evitare ’salti’ eccessivi rispetto ai saldi obiettivi derivanti dalla vecchia normativa, viene prevista una riduzione del 50 per cento della differenza tra nuovo e vecchio saldo. E’ introdotto un limite assai stringente per l’aumento dello stock di debito, di cui si dispone il blocco se le spese per interessi sono superiori all’8 per cento delle entrate correnti. E una norma eccessiva, che avrà come conseguenza una ulteriore compressione degli investimenti locali e l’inibizione di ogni politica anticiclica e di contrasto alla crisi da parte del sistema delle autonomie. Le poche novità che vanno in direzione di un alleggerimento della manovra 2011 sono largamente insufficienti. La manovra di rientro poteva e doveva essere ripartita in modo diverso, visto che il peggioramento dei conti tra il 2007 e il 2009 è interamente dovuto alle amministrazioni centrali. Sarebbe stata necessaria una coraggiosa assunzione di responsabilità. Si è fatta una scelta diversa, partendo dall’assunto un po’ cinico che ridurre le risorse a comuni, province e regioni è tutto sommato più facile e meno costoso politicamente.

6. Una proposta per un vero federalismo fiscale

Quanto al federalismo fiscale, rimane una chimera o rischia addirittura di trasformarsi in un incubo stando ai numeri e agli attuali contenuti del decreto sul federalismo municipale. Il meccanismo disegnato dalla riforma non ha nulla a che vedere con un vero federalismo fiscale, dove il cittadino vede e paga per i servizi che riceve. Manca una imposizione fiscale sui servizi erogati dai comuni che ricada su tutti i residenti e risponda al criterio del beneficio. Per questo a giudizio di Legautonomie, accanto all’imposizione immobiliare, i cui cespiti dovrebbero però essere completamente gestiti dai comuni, andrebbe invece introdotta una vera e propria tassa sui servizi generali e indivisibili non tariffatili erogati dai comuni, potenziati gli strumenti di autonomia finanziaria e impositiva oltre alla compartecipazione dinamica al gettito di almeno un grande tributo erariale, previsti adeguati fondi di perequazione.

7. Una ripresa dell’iniziativa politica: per i diritti costituzionali di autonomia

Per questo è necessaria una forte ripresa del protagonismo politico del sistema delle autonomie; per affermare i propri diritti costituzionali di autonomia; per la dignità degli amministratori locali; per non vanificare la costruzione di un vero federalismo. Questa politica taglia le gambe al futuro del paese, perché passa dagli enti territoriali la maggior parte degli investimenti pubblici e un pezzo cruciale della rete di welfare e dei servizi pubblici essenziali, esattamente i capitoli di spesa più colpiti dall’impostazio-ne centralista della politica del governo. Un nuovo protagonismo delle autonomie è necessario perché l’Italia, soprattutto, non rimanga ferma al palo. Su questi temi, per valutare le nuove proposte che verranno presentate dal governo, Legautonomie ha convocato per il 14 febbraio p.v. il Consiglio federale dell’associazione, aperto a tutti coloro che vorranno partecipare, per condividere l’impegno a costruire un vero federalismo fiscale. I lavori del Consiglio federale si svolgeranno a Roma, con inizio alle ore 10.30, alla sala del Refettorio, palazzo San Macuto, via del Seminario 76.

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